"Il terremoto!!!". Reggio Calabria, 1908

CopertinastidduzzuIn occasione del centododicesimo anniversario del Terremoto che distrusse le città di Reggio e Messina, pubblichiamo un breve estratto del romanzo breve "Stidduzzu 1908 – il Figlio delle Stelle" di Simeone Carullo, edito dalla Casa Editrice "Leonida".

"È notte fonda quando i sismografi impazziti dell'Osservatorio Ximeniano di Firenze registrano scosse di entità eccezionale. Gli addetti del centro annotano: "Stamani alle 5:21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata un'impressionante, straordinaria registrazione: le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave". E qualcosa di grave stava succedendo davvero. Una serie di scosse, poi una più lunga di circa 35 interminabili secondi spezza il fiato. Il respiro resta sospeso, qualcuno fa in tempo ad urlare: "Il terremoto!!!" Uno dei più potenti della storia d'Italia. Silenzio pieno e tetro, poi un boato. Il sisma causa una frana sottomarina che genera un'onda paurosa che si abbatte dirompente sulle coste dello Stretto. Reggio e Messina sono sconquassate, rase al suolo. Crollano quasi tutti gli edifici, muoiono decine di migliaia di persone (solo a Reggio circa 15 mila). L'Apocalisse.

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"Migliaia di persone erano rimaste sepolte sotto le macerie; e i sopravvissuti, usciti avventurosamente nelle strade, avevano udito e visto il mare che come una enorme montagna ruggente e con cupo rombo furioso si rovesciava in profondità al di qua della riva, inghiottendo altri uomini e sconvolgendo come fuscelli ponti di ferro. Terremoto e maremoto congiunti in rapidissima successione avevano compiuto la loro strage e le prime luci del giorno avevano illuminato uno scenario di immensa rovina. Le espressioni dei primi inviati speciali offrono una visione del tragico scenario. "Un mare di rovine, una pianura livellata di macerie, sulle quali non si eleva più nulla". "Tutta la città è una immensa tomba di vivi o di agonizzanti. Sulle vie della città morta non s'avventura più nessuno"[1].

"Ed ecco Reggio profilarsi in declivio sul cielo ridivenuto plumbeo. Il disastro ha qui un'altra fisionomia, come gli abitanti delle baracche che si incominciano ad innalzare presso la marina: sono cenci cittadini che le donne ed i bambini hanno indosso, tende e tappeti. Sull'alto di una casa cui fu asportato il tetto scorgo un pianoforte; dei quadri, dei ritratti, pendono dalle pareti. Stanze da letto sventrate. È l'intimità domestica violata. Brutalmente [...] Indi la strada è ingombra di macerie da cui esce fetore orribile. I passanti si indicano l'un l'altro dei cadaveri sospesi alle travi. [...] E per tre giorni i gemiti dei sepolti vivi continuarono sempre più fiochi lungo le vie ingombre di rottami."[2]

Erano gli abitanti di Reggio, erano persone, uomini e donne con i loro sogni, le loro speranze, le loro vite infrante. Intere generazioni dimezzate, il loro lavoro e il lavoro dei loro avi quasi completamente azzerato.

[...] Pellaro s'è inabissata, sprofondata sottoterra, sepolta da tonnellate e tonnellate di macerie e relitti: l'unico edificio rimasto in piedi è la chiesa della Madonnella, soltanto un po' scalfita da una barca che ci è finita dentro.

[1] Gaetano Cingari, "Reggio Calabria"- Laterza, 1988.

[2]Giovanni Cena, resoconto dell'epoca, da Gaetano Cingari, "Reggio Calabria" Laterza, 1988.