Don Milani e i meccanismi dell’emancipazione umana

donmilaniragazzidi Isidoro Pennisi* - Cinquant'anni sono sufficienti per realizzare quelle differenze che rendono irriconoscibile una realtà che diviene nel tempo. Un tempo che divide l'Italia in piena ricostituzione materiale e morale, da quella attuale, che sembra aver abiurato a quello sforzo e a quella grande impresa. Cinquant'anni di donne e uomini e di sforzi, che sembrano al momento vanificarsi in una congiuntura decadente, nel centro di un punto di flesso vasto, dentro l'incavo di un'onda che sembra non passare mai. Cinquant'anni fa moriva Don Lorenzo Milani, e sia il Ministero dell'Istruzione e della Ricerca sia il Santo Padre, in maniera diversa, ricorderanno questo tempo trascorso con una giornata nazionale in suo onore e con una visita privata in Mugello. Incardinato in maniera grossolana, nell'altrettanto inefficiente definizione di cattolicesimo di sinistra, Don Lorenzo Milani non è altro che un uomo di fede che milita, oltre che professare, per essa. Sta dentro un solco secolare della storia del cristianesimo, e se non fosse per la cattiva gestione della storia e della memoria, si rimarrebbe sorpresi di come persone come lui siano molto meno rari di quel che sappiamo. Di ottime ed elevate origini sociali, il suo destino naturale, però, sarebbe stato, dentro la Chiesa, quello di chi scala le gerarchie, con buone possibilità d'arrivare in quelle più alte. Al contrario, invece, prende un'altra strada, che è quella di fermarsi e poi di scendere, rispetto alla sua classe sociale d'origine, verso quella più diffusa e numerosa che per ministero, gli tocca servire. Una scelta certamente segnata dall'essere stato guidato da un personaggio poco conosciuto, ma che coltiva il Giardino dei Giusti delle Nazioni a Gerusalemme, privilegio non a tutti concesso. Di Don Giulio Facibeni si dice che dopo averlo guardato negli occhi e sentito parlare, non si poteva dubitare più dell'esistenza di Dio. Don Lorenzo Milani, in tutto questo, senza alcuna traccia d'eventi particolari, si converte, entra in seminario, e diventando presbitero viene più volte spostato dalle parrocchie dove era assegnato per via della sua vivacità e puntigliosità con cui si confrontava con la gerarchia ecclesiastica fiorentina. Preso atto della sua difficile integrazione con le diverse comunità parrocchiali, si scelse di spedirlo, quasi in esilio, in Mugello. Questo brano di terra toscana, ondulata e coperta dai risultati impressi sul terreno dal lavoro umano, prima d'essere ciò che oggi è, rifugio per benestanti in cerca di paesaggi incontaminati, a quel tempo era una specie di Lucania spostata più a Nord dalla geologia. E' in quell'ambiente rurale e povero, nel contrasto con l'ambiente dov'era cresciuto, che Milani matura la sua strategia pastorale, che consiste nello stare con i poveri sì, ma per aiutarli a emanciparsi. E' nella scuola e nella formazione la chiave di volta che individua, per porre le condizioni per una reale giustizia sociale. Fonda e costruisce una scuola per bambini che non potevano andare in quelle pubbliche, per via delle distanze da coprire e dai costi, e si batte sino alla fine per far capire come sia essenziale, nella ricostruzione del Paese, investire energie umane e finanziarie per elevare, attraverso la conoscenza, le persone al rango di cittadini consapevoli. La scuola di Barbiana è questo. Non è un semplice e inedito modello didattico o organizzativo, ma una leva potente che pretende di emancipare realmente chi nasce in basso alla società. Don Bosco, pur non vivendo in un periodo in cui esisteva il concetto di cattolicesimo di sinistra, fece decenni prima la stessa cosa, in modo diverso. Don Milani ha combattuto, sino alla sua morte, quindi, per questa semplice evidenza che, ancora adesso, però, non sempre è acquisita definitivamente e, negli ultimi tempi, è anche vilipesa. Ricordare la sua figura, però, solo per reiterare questo concetto consolidato, anche se al momento in crisi, non sarebbe una cosa onesta, in rapporto al portato storico della questione formazione, che sarebbe errato circoscrivere dentro fatti storici contingenti e transeunti. Se è valida l'intuizione di Milani, oggi abbiamo un problema diverso su cui la formazione potrebbe influire: nello scarto esistente tra una geografia culturale e reale dell'Europa e quella politica. La scuola e la formazione, infatti, pur avendo una funzione originaria immodificabile, hanno però dei motivi contingenti da servire, che non sono sempre identici, e in base ai quali deve trovare soluzioni inedite. Don Lorenzo Milani, oggi, darebbe per scontato, cosa che al tempo non era, che alcune misure d'emancipazione siano impensabili senza una formazione diffusa e adeguata. La sua attenzione, quindi, mirerebbe a un altro problema su cui la formazione può fare molto, ma che, al momento, invece non è considerato ed è sottostimato.

In questa fase della nostra storia, lì dove il processo di articolazione delle culture europee, delle sue organizzazioni socio economiche, corrisponde ancora a una geografia fisica dell'Europa più che a una nuova e necessaria cartografia politica, sembra urgente porsi il problema di una pedagogia e di un'educazione proporzionata alla formazione di cittadini e di una classe dirigente realmente europea. E' urgente iniziare a costruire una classe dirigente Europea che non sia l'emanazione delle singole realtà, semplicemente prestate al progetto sovranazionale. A Don Lorenzo Milani non sarebbe sfuggito, dentro la storia, un precedente importante. Avrebbe riconsiderato le esperienze e la prassi di un grande europeo del passato, vissuto dentro una geografia politica ancora non europea. Federico II di Svevia era Tedesco, ma mise piede in Germania giusto il tempo per alcuni doveri dinastici. Passò la sua vita, con la sua corte itinerante, viaggiando da nord a sud tra la Sicilia, la Calabria e la Puglia, vivendole e governandole da dentro, e guidando, per riflesso, ciò che all'epoca era un Impero più vasto, di quello spicchio di geografia fatata, ma di grandezza culturale europea, del Meridione d'Italia. Non fu un caso, che a un certo punto, decise di fondare ciò che fino a quel momento non esisteva ancora come tale: l'Università. Se si legge ancora oggi l'editto con cui la fondò, si capisce che ciò avvenne non per motivi umani, per sete di sapere, per generosità e magnanimità regale. Federico II di Svevia, nel comunicare i motivi di quella decisione, descrive ciò che lui ritiene strategico in quella decisione. Le sue ambizioni politiche erano sproporzionate rispetto ai suoi poteri e capacità, e avevano bisogno di un capitale umano che fosse la cinghia di trasmissione delle sue idee dentro la realtà dei fatti. Non aveva bisogno solo di soldati, ma aveva sete di uomini di legge, di medici, di tecnici, in un numero adeguato e con una preparazione proporzionata a un progetto politico nuovo non feudatario e localistico. Non solo. A Don Lorenzo Milani, che aveva avuto un'istruzione di prima qualità, non gli sarebbe sfuggito che dal settecento sino alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, una classe dirigente colta e adeguata ai ruoli di responsabilità, di qualsiasi Nazione del Continente, era già costruita e formata con uno spirito e una dimensione sovranazionale: una formazione, realizzata attraverso le prassi, le logiche formative di ciò che è stato definito il Gran Tour. Un'esperienza formativa che consisteva nel far passare a ogni laureato del Continente, un periodo lungo d'osservazione e di vita in Italia, ma soprattutto al Sud del Paese. Don Lorenzo Milani avrebbe intuito che soprattutto i territori del Sud del Paese, oggi, sono ancora quel luogo articolato, già intuito dagli Inglesi, dai Francesi e dai Tedeschi, dove i contenuti di sintesi dell'Europa sono squadernati sul suo territorio, dentro il suo paesaggio, dentro le biblioteche, nei suoi musei, nelle aree archeologiche, nei suoi miti e nella sua antropologia.

Serve prenderne atto, e capire che mettersi al servizio di questa necessità, non solo è rilevante in sé, come cittadini di una storia dell'Europa politica ancora molto lunga e da costruire, ma è conveniente per l'intero Meridione e, soprattutto, per la Calabria. La Calabria ha la necessità di popolare i suoi micro centri urbani, i suoi borghi in via di spopolamento, con umanità che la occupi temporaneamente con attività a basso impatto ambientale, ma ad alta incidenza storica, come sono lo studio e la formazione. Il Sud ha bisogno di giovani cittadini che non temono, al momento, le difficoltà di arrivarci e soggiornarci per qualche tempo se in cambio riceveranno una formazione che li completi e li metta nelle condizioni di gestire la costruzione dell'Europa politica. Il progetto europeo ha bisogno di processi formativi non tecnocratici, ha bisogno di formare capitale umano ricco di capacità e coraggio intellettuale che solo le conoscenze umanistiche concedono.

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Direbbe questo Don Milani? Non è mai bello mettere in bocca dei morti concetti in cui i vivi credono. Ho l'impressione che la grandezza di Don Milani sia nell'avere intuito le reali dimensioni del concetto d'emancipazione umana che, in alcuni casi è quella evidente, ed è strumento di chi è povero e diseredato, ma altre volte coinvolge tutti, senza differenze di classe. Parlo dell'emancipazione dai processi non storici della natura, dal destino avaro che il mondo, senza un nostro intervento e una nostra compromissione nel modificarlo, ci riserva. Don Milani, sono sicuro, è in questo un erede di un altro grande fiorentino, da cui assorbe compiti e visione: Pico della Mirandola. Autore di "cento tesi" che giacciono nelle biblioteche vaticane, Pico della Mirandola, frustrato dal vedere vanificato il suo lavoro dal Papa, che gli nega la promessa di discutere pubblicamente le sue tesi in un Concilio straordinario, si ritira a Fiesole, e lì scrive, come reazione e testamento, uno dei documenti più straordinari su ciò che vuol dire emancipazione umana, immaginando una parola di Dio che fosse definitiva, su questa questione. " O Adamo, non ti ho dato né una sede determinata, né un aspetto tuo particolare, né alcuna prerogativa a te solo peculiare, perché quella sede, quell'aspetto, quella prerogativa che tu desidererai, tu te le conquisti e le mantenga secondo la tua volontà e il tuo giudizio. La natura degli altri esseri, stabilita una volta per sempre, è costretta entro leggi da me fissate in precedenza. Tu invece, da nessun angusto limite costretto, determinerai da te la tua natura secondo la tua libera volontà, nel cui potere ti ho posto. Ti ho messo al centro del mondo perché di lì più agevolmente tu possa vedere, guardandoti intorno, tutto quello che nel mondo esiste. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché tu, come se di te stesso fossi il libero e sovrano creatore, ti plasmi da te secondo la forma che preferisci. Tu potrai degenerare abbassandoti sino agli esseri inferiori che sono i bruti, oppure, seguendo l'impulso del tuo animo, rigenerarti elevandoti agli spiriti maggiori che sono divini."

*Docente universitario

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Nota del direttore

Ho accettato con entusiasmo la proposta del prof. Isidoro Pennisi di pubblicare, nell'arco del mese di giugno, alcune riflessioni sul tema dell'educazione e dell'impegno sociale. Lo spunto nasce dall'anniversario della morte di don Lorenzo Milani, figura controversa della chiesa, scomparso 50 anni fa, che oggi viene considerato un punto di riferimento del cattolicesimo attivo. L'ho fatto perché, soprattutto alle nostre latitudini, servirebbero figure di rottura del "sistema", soprattutto nella chiesa: servirebbero figure che si schierano apertamente contro il potere e a favore degli ultimi, per bilanciare la deriva istituzionale (mista a criminalità) che soffoca questo territorio.

Ma l'ho fatto perché, da quando è nato, Il Dispaccio ha voluto essere sempre questo: non solo un organo di stampa che "dà" le notizie, ma anche un polo culturale, un luogo in cui colleghi, ma anche intellettuali e semplici cittadini, sappiano che le proprie riflessioni possano trovare risalto. Un luogo in cui il pensiero sia di casa. Pensare non è obbligatorio ma, ahinoi, facoltativo: noi abbiamo sempre scelto di farlo, anche a costo di essere impopolari. Del resto, le minoranze ci hanno sempre affascinato. Per questo, la figura di don Milani, a prescindere dalle posizioni che si scelgono su di essa, merita di essere ricordata, merita un confronto. Così come, soprattutto nei tempi per certi versi bui che viviamo, merita una riflessione il ruolo dell'educazione, dello studio e della cultura: da qui la scelta di pubblicare, nelle prossime settimane anche alcuni scritti di un intellettuale come Antonio Quistelli, il cui pensiero è assai attuale. Crediamo in un giornalismo sociale che, attraverso l'emersione dei fatti e la riflessione su di essi, possa avere quasi un ruolo pedagogico (proprio come l'azione di don Milani) e contribuire a migliorare la nostra difficile terra.

Il Dispaccio è una zona franca in cui il pensiero avrà sempre piena cittadinanza: che una mente acuta del Sud come il prof. Pennisi lo abbia capito, proponendo a noi e non ad altri questa sua affascinante idea, è motivo per me di orgoglio, perché significa che, in questi 5 anni di attività, qualcosa è rimasto, anche oltre la fredda cronaca. Un motivo in più per continuare a credere nelle idee che diventano azioni.

Claudio Cordova