La terra del futuro sospeso. “Cosangeles”, il nuovo libro di Paride Leporace

cosangelesleporacedi Alessia Tripodo - "I fatti qui narrati sono immaginari. È autentica invece la realtà sociale e ambientale che li ha prodotti". Questa è la premessa che Paride Leporace utilizza come nota di avvertimento al lettore nella sua nuova opera 'Cosangeles' (Luigi Pellegrini Editore). Fatti irreali e luoghi più che veri. Solo così è possibile comprendere la struttura degli ambienti che dominano gli undici racconti di questa raccolta; ambienti che vengono spogliati da quella festosità tanto cara all'Italia degli anni '70 e '80 e che, nelle periferie del Sud (ma non solo), si scontrano con una realtà sospetta, intangibile, ferma. Cosangeles è la storia di queste periferie. E già il nome la dice lunga sul desiderio di riscatto di una città: da Provincia a centro del mondo. Riscatto che passa dai rock-café, dai vestiti alla moda, dalla poesia della beat generation, dal più generale, tanto agognato, sogno americano. Una speranza o una condanna, secondo il punto di vista di Ciccio Paradiso - alter ego dell'autore -, primo protagonista apparso in questi racconti, che si domanda a quale mondo si senta più figlio: Cosenza o Cosangeles? La Provincia o il Mito? Paradiso non sa trovare una risposta e probabilmente anche noi lettori non ne abbiamo una. Riusciamo solo ad avvertire che proprio in quei topos cosentini si inerpica l'anima di una città raccontata attraverso i suoi vicoli e i suoi quartieri: da via Popilia al Duomo, da piazza Kennedy ai pub del centro storico.

Cosangeles è più propriamente l'Itaca di Kavafis che nulla ha da regalare se non si è abbastanza coraggiosi da allontanarsi e solo allora, affrontando mille peripezie, comprenderne la ricchezza. La Cosenza di Paride Leporace è un'isola sperduta nella modernità, ravvivata nelle memorie di chi l'ha vissuta davvero: gli ambiziosi, i sognatori, i malandrini improvvisati e quelli feroci, ma anche i ragazzi - ormai adulti - che hanno pagato il prezzo dei "Paradisi Artificiali" di Baudelaire. Una generazione narrata con franchezza a partire dalla cifra linguistica che Leporace utilizza, composta da una struttura lineare, senza eccessi, ma con precise macchie dialettali. Persino questo, il dialetto, è presentato a metà tra la sua forma più arcaica e neologismi moderni.

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Nella visione di Leporace è costante il bilanciamento temporale; come se la Cosangeles descritta fosse una clessidra: basta capovolgerla per far rimescolare il tempo trascorso. A mostrare apertamente la doppiezza di una generazione, nonché del luogo, è Jo Pinter, secondo protagonista, uomo di successo, attore di cinema, pubblicitario, commerciante. Pinter ha vissuto una vita sfaccettata: dalle conversazioni con Fellini, agli incontri con la paranza locale, ai luoghi delle Roma bene fino alle periferie cosentine. Ma anche Tokyo, Sydney, Berlino, Londra e altre mete che hanno segnato lo sguardo di Pinter, tant'è che rincorrendo la scia dei suoi ricordi non può che chiedersi: "Ma a quale part' i munnu mi truavu?". Con lo stesso accento di chi è cosmopolita fuori e provinciale dentro.

Nei ricordi di Jo Pinter ritroviamo la tensione di chi ha dovuto lasciare la terra natìa per venire a patti con le proprie ambizioni. Ma Cosenza lancia l'amo e ritrae i suoi figli. A volte con amorevole cura, altre volte con crudezza così come accade a Bobò, anima poetica che viene spento da giovanissimo a causa delle siringhe e delle strettezze di una Provincia che non perdona.

I racconti, così come presentati, sembrano essere un diario di bordo scritto a quattro mani, dove Paradiso e Pinter si affacciano l'uno sul mondo dell'altro. Essi sono speculari a loro stessi, uniti da un sentimento malinconico nei confronti di un'epoca, una terra, una storia ormai lontana. Ma a farla da padrone in tutto il libro sono le innumerevoli citazioni cinematografiche e musicali che solo l'attenta conoscenza di Paride Leporace poteva ben incastonare tra le vicissitudini dei suoi personaggi. Quanto basta, insomma, per lasciare sospeso il lettore tra un mondo fittizio, patinato - come, appunto, quello della celluloide - e un mondo verosimilmente attuale. Insomma, Cosangeles aleggia leggera come le boccate di fumo della sigaretta di Paradiso; e senza paura di ricadere nei classici cliché del Mezzogiorno, Leporace ci restituisce un'idea della Calabria vivida, sfaccettata. Troppo nostalgica, forse, mancante di quello sguardo generazionale che ha inevitabilmente perso la Cosangeles raccontata qui. I racconti non riescono a spingersi al di là di questo sguardo e per questo il tempo è fermo al passato.

Una terra, insomma, dal futuro sospeso. In fin dei conti, questo è un libro che va letto se si è predisposti a cedere al richiamo dei ricordi, se ci si barcamena tra sogni ad occhi aperti e risvegli cruenti, se si è pronti a entrare in una terra di grigi. Una storia cristallizzata a quella precisa utopia. In fondo, come scrive lo stesso Leporace: "La Provincia è una stagione eterna della gioventù e basta poco per avere un riconoscimento".

Basterà davvero poco ai figli di questa terra per avere un riconoscimento?