(Almeno) 10 motivi per cui oggi è sbagliato protestare contro la “zona rossa” in Calabria

protestazonarossareggiocalabriadi Claudio Cordova - Da oggi la Calabria è in lockdown per frenare la corsa del Coronavirus che, dopo aver quasi "graziato" la regione nel corso della prima ondata, da settimane è arrivato piuttosto prepotentemente sul territorio. Lockdown "soft", ma pur sempre lockdown. Una misura dura, drammatica che, forse, all'uscita dalla prima ondata, in pochi avrebbero immaginato. Una misura che, ovviamente ed evidentemente, andrà a impattare con drammatica forza sulla vita di tantissime persone, sul tessuto economico e sociale.

Quel tessuto economico e sociale che già fa sentire rumorosi e inquietanti scricchiolii. In scena, in varie città calabresi, proteste, cortei, slogan. Nella maggior parte dei casi pacifici, come a Cosenza e Lamezia Terme, in altri casi strumentalizzati, come a Reggio Calabria, dove è stato anche ferito, fortunatamente in maniera lieve, un carabiniere in servizio per la manifestazione nelle vie del centro cittadini.

Ma c'è una quantità imprecisata, ma non trascurabile, di motivi per cui protestare, in questo momento, non solo è sbagliato, ma, anzi, rischia di diventare deleterio e pericoloso. Proviamo a elencarne almeno dieci.

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1) E' il motivo principale, ma il più ovvio, perché compreso ormai da tutti. La Calabria è stata inserita nella "zona rossa" non tanto e non solo per la sua quantità di contagi, ma per evitare il crollo del fragile e malandato sistema sanitario regionale. Un crollo che sarebbe ovvio e scontato e che ha radici profonde, lontane, che attengono alla cattiva gestione da parte della politica, agli sprechi nella pubblica amministrazione, alla corruzione della classe dirigente, alle infiltrazioni della 'ndrangheta e all'ingerenza di centri di potere e massoneria. Raramente, però, la popolazione calabrese, seppur fiaccata da questi fattori, ha trovato la forza, la voglia, di protestare nel corso di decenni e decenni. Eppure la sanità in Calabria è commissariata da circa dieci anni, senza che questa gestione centrale (scaturita proprio dal diffuso malaffare locale) abbia portato alcun beneficio allo stato delle cose.

2) La politica, quella stessa politica responsabile dello sfascio, soffia sul fuoco. E' soprattutto il centrodestra ad aizzare le masse, per ragioni politiche e per allontanare da sé i sospetti circa una gestione allegra dell'emergenza pandemica. La Lega è arrivata addirittura a parlare di speculazione politico-elettorale. Eppure, la tesi del complotto politico non regge. Si è anche detto che siano state decretate come "zona rossa" solo le regioni di segno opposto al Governo, come se fossero stati fatti dei "favori" ai governatori o ai sindaci di centrosinistra o dei 5 Stelle. Senza valutare che, solo per fare un esempio, a un governatore di centrosinistra come Vincenzo De Luca, inserire la Campania in "zona rossa" e non in "zona gialla", come poi avvenuto, sarebbe stato solo un favore, visto l'atteggiamento da sceriffo assunto, ormai da mesi, dal governatore campano.

3) Si continua, colpevolmente e pericolosamente, a ignorare il dato scientifico sulla base del quale il Governo ha deciso di inserire la Calabria in "zona rossa". Eppure ieri è stato il direttore del Dipartimento Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, a spiegarlo: in Calabria, area rossa, "anche se non c'è un numero di casi particolarmente alto, c'è un Rt elevato, a 1,84 con un intervallo a 1,56: certamente sopra 1,5. Questo ci porta a pensare che c'è un aumento della trasmissione in atto e la situazione potrebbe diventare critica in un prossimo futuro". Quello della prospettiva di come potranno evolvere gli attuali casi attivi sul territorio (che non sono pochi) è un tema che non può essere sottovalutato. "La Calabria è bellissima - ha detto Rezza - ma qualche deficit strutturale c'è e riguarda la capacità di resilienza del sistema".

4) Un sistema che è già al collasso, nella indifferenza politica, che pensa a trovate populiste come l'impugnazione del provvedimento del Governo. Secondo qualcuno, si è persino arrivati a "taroccare" i numeri sulle terapie intensive per evitare di essere inseriti nella fascia di massima allerta. Basterebbe chiedere a un amico, a un parente, a un conoscente che operi al GOM di Reggio Calabria, al Pugliese-Ciaccio di Catanzaro o all'Annunziata di Cosenza, la situazione in cui versano i nosocomi calabresi, allo stress cui è sottoposto il personale, ai giochi di scacchiere che si stanno mettendo in atto svuotando alcuni reparti non di poco conto da medici e infermieri, dirottati sull'emergenza Covid.

5) E' proprio questo che sfugge. Il GOM di Reggio Calabria, per esempio, è già da settimane dedicato interamente alla gestione della pandemia da Coronavirus. Gli accessi esterni sono inibiti, ma, cosa ancor più significativa, tutte le prestazioni ambulatoriali risultano, già da giorni, sospese ad eccezione di poche categorie di pazienti: per dirla in maniera brutale, o si ha il Covid o un tumore, oppure bisogna incrociare le dita. Eppure è facile da capire e logico da pensare che se io ho un infarto o un'altra patologia importante e muoio perché non è stato possibile curarmi in tempo, dovrei essere inserito, a pieno titolo, tra le "vittime di Covid" nei drammatici e giornalieri bollettini.

6) Con le proteste, nonostante, anche nelle "catene" di invito sui social, si faccia riferimento alla natura apartitica delle manifestazioni, si fa solo il gioco di una politica che, da anni, svende il territorio e che, anche in questi mesi, non ha fatto granché per fronteggiare l'emergenza. Se si pensa, per esempio, che la Calabria sarebbe l'unica regione a non aver speso per intero i fondi Covid stanziati dal Governo, o al fatto, come ha denunciato il senatore Nicola Morra, che, in otto mesi sarebbero stati attivati solo ulteriori 6 posti di terapia intensiva. O, ancora, che la struttura commissariale, retta dal generale Saverio Cotticelli, non ha fin qui elaborato un piano che possa prevedere, tra le altre cose, l'utilizzo di medici dell'Asp a dare manforte a quelli ospedalieri o la riconversione di alcune strutture di territori a Covid Hospital. E, ancora, quanti reparti Covid sono stati attivati dall'Asp in questi mesi di emergenza? Quanti laboratori dell'Asp sono abilitati a processare i tamponi? Quanto personale è stato dedicato al tracciamento dei casi? Qual è il vero sforzo per le assunzioni del personale? Quante ambulanze sono attrezzate per soccorrere un sospetto caso Covid? Nessuna idea, nessuna visione.

7) Oltre a quello sanitario non sfugge il dramma economico. Chi scrive non è un dipendente pubblico o un pensionato, uno di quelli che, nella vulgata dei negazionisti del Covid, ha il "culo al caldo" e quindi può permettersi di tifare per le chiusure. Ma bisogna sforzarsi di capire che il 2020 ci ha "regalato" una situazione così impensabile e complessa che non può essere affrontata in maniera blanda. Sarebbe come sperare di curare un grave male con l'acqua fresca o prendendo un po' di sole e di aria pulita. Nel corso della prima ondata di chiusure, quasi nessuna protesta degna di nota è stata inscenata dalla popolazione nazionale. Questo perché, evidentemente, al netto di errori e ritardi, che pure ci sono stati, gli aiuti economici sono arrivati e hanno permesso di superare i difficili mesi della primavera. Oggi il Governo ha promesso ulteriori "ristori". E, se chiede un patto ai propri cittadini, ai propri operatori, deve essere in grado di onorarlo.

8) Se agli esercenti colpiti dalle chiusure da parte della comunità non deve andare solo solidarietà, ma sostegno attivo e fattivo, garantendo, per quello che si può, di mandare avanti l'attività grazie alla possibilità di asporto prevista dal Dpcm, non può che andare solo e soltanto disprezzo e commiserazione verso chi, oggi, protesta sollevando un risibile "diritto alla socialità". La situazione che hanno vissuto, vivono, e vivranno gli operatori economici è seria, vera, drammatica. Cosa ben diversa da chi ha solo voglia di divertimento, di aperitivi, di happy hour, di mostrare la propria (presunta) bella vita sui social.

9) Quella stessa bella vita, quella stessa socialità, evidentemente poco responsabile, che ha portato alla recrudescenza dei dati sui contagi. Con comportamenti più appropriati (che non avrebbero significato vita da asceti o da monaci tibetani) forse tutto questo poteva essere evitato. A tutto ciò si è aggiunta l'esiziale campagna elettorale di settembre/ottobre, compatibile, come tempistica, con l'inizio del peggioramento della situazione epidemica. Ma anche manifestazioni come quelle inscenate ieri, con assembramenti, talvolta senza mascherina, con contatti e vicinanza, possono essere una grave occasione di contagio i cui effetti potranno essere visti solo da qui a dieci giorni, quando, cioè, dovrebbe scattare la prima verifica ministeriale per aggiornare la classificazione delle regioni.

10) Ultimo, ma non ultimo, un problema concreto di cui si è già vista prova ieri. La strumentalizzazione della protesta da parte di mondi oscuri, che invece dovrebbero essere relegati ai margini. Lo si è visto con la devastazione in Campania, sostenuta e, forse, diretta, dalla camorra, con quella a Roma, agitata da gruppi eversivi. Ieri, nel corso della manifestazione, sono state esplose bombe carta che, di certo, non sono nella disponibilità dei commercianti preoccupati per il proprio futuro. E' stato ferito con una sassata un carabiniere e, anche in questo caso, non si può attribuire la responsabilità a una estetista che ha chiuso (senza sapere con certezza per quanto tempo) il proprio centro. Le manifestazioni, in una fase così fragile, non solo per la Calabria, ma per l'intero Paese, sono e saranno sempre terreno fertile per mafiosi, antagonisti di destra e di sinistra, ultras, che non hanno a cuore la tutela della salute e dell'economia, ma che vogliono soltanto avvelenare i pozzi.