Nessun "secondo tempo" e neanche una nuova partita. Serve un nuovo sport

falcomatafesteggiadi Claudio Cordova - Alla fine Reggio Calabria ha votato, tappandosi bene il naso, Giuseppe Falcomatà. Sì, tappandosi il naso. Perché l'analisi numerica del voto (peraltro già effettuata al termine del primo turno) consegna un consenso del sindaco uscente e riconfermato che è crollato nel corso degli anni. Anche all'esito del turno di ballottaggio, vinto dal candidato del centrosinistra senza troppi patemi sul candidato del centrodestra, Antonino Minicuci, l'unica cosa positiva, per Falcomatà, è la rielezione, appunto. Perché a votare sono stati pochi, pochissimi, appena sopra la metà degli aventi diritto. Falcomatà viene rieletto raccogliendo poco più di 44mila voti, il che significa abbastanza sotto un terzo degli aventi diritto.

Insomma, tra voti volati via e astensionismo, il gradimento cittadino nei confronti del sindaco riconfermato è scarso, molto scarso. Anche il numero stesso di candidati "minori", molti dei quali da inserire nella cornice del centrosinistra, la dice lunga sul fatto che Falcomatà non sia riuscito a diventare un simbolo per la città (come avvenne, invece, per il padre), né a interpretare fino in fondo le istanze della propria parte politica.

Falcomatà ha vinto più per demeriti degli avversari, che non per suoi meriti. Perché Minicuci, per dirla con la deputata dei 5 Stelle, Federica Dieni, "non era votabile". E non perché altrimenti ci sarebbe stato un ritorno del fascismo, come ha potuto affermare solo chi non ha mai aperto un libro di storia nella propria vita, né per la risibile teoria secondo cui si doveva arginare un'ondata leghista che, numeri alla mano, non esisteva e non esiste.

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Chiacchiere di soloni e sedicenti intellettuali, che sbucano fuori solo al momento del voto, salvo poi ritornare a girare i pollici per cinque anni.

Minicuci non era votabile, innanzitutto perché palesemente inadeguato. I confronti con Falcomatà, prima evitati (giustamente, verrebbe da dire) e poi effettuati nel corso dell'ultima settimana, ne hanno tradito l'insipienza politica, la rozzezza del ragionamento, l'incapacità comunicativa e linguistica, la mancanza di buone maniere e molto altro. Non era votabile per quello che si portava dietro, per quello che girava attorno a lui. Un centrodestra che non sa cosa sia il merito, che ancora non è riuscito a fare i conti con il proprio passato, con le inchieste, con la vicinanza di taluni alla 'ndrangheta. Un centrodestra che una persona onesta, di estrazione liberale (ve ne sono, nonostante tutto), non potrebbe votare. A dissanguare il risultato di Minicuci è stato anche questo: il fastidio di chi voleva votare centrodestra, non solo per l'incapacità di Falcomatà, ma per convinzione, e però non ce l'ha proprio fatta.

Non solo al primo turno dove c'era più scelta, ma anche al ballottaggio.

Un centrodestra che ha litigato per mesi, senza riuscire a sfornare un nome credibile, accettando, alla fine l'imposizione della Lega di Salvini, che voleva mettere una bandierina su Reggio Calabria, anche per porre fine a un calo vertiginoso del Carroccio. Fortuna, tanta fortuna per Falcomatà, che, su domanda, avrebbe probabilmente difficoltà a spiegare perché e come sia stato nuovamente eletto. Si dice che la fortuna aiuti gli audaci. Forse, però, questa potrebbe essere l'eccezione. Perché Falcomatà di audacia, nei sei anni di amministrazione, non ne ha dimostrata moltissima. Ha condotto battaglie di retroguardia, ha applicato scelte conservative, ha avuto alcuni scivoloni pesantissimi, ha dimostrato, in tutto l'arco della sindacatura, di non avere un'idea di città, ma di trattare Reggio, peraltro Città Metropolitana, come un paesino di provincia.

E' arrivato persino a rilasciare comunicati per l'installazione di cestini per l'immondizia, con tanto di foto del cestino in questione tra le mani, a mo' di trofeo. Neanche fosse un evento più unico che raro come alzare la Coppa Campioni per la Juventus. Non può essere questa la linea, non deve essere questa la linea.

Per questo, anche la retorica sul "secondo tempo", va cambiata. Va modificata, va ritirata. I reggini lo hanno dimostrato: a loro il primo tempo non è piaciuto e, probabilmente, non piace nemmeno la partita stessa. Serve cambiare sport. La città è stanca di avere negli assessorati o in ruoli chiave, amici del sindaco. E non tanto o non solo per lo squallore di piazzare i propri lacchè in luoghi che avrebbero bisogno di competenze. Ma, soprattutto, perché se il sindaco, nel proprio giro di amici, avesse avuto tanti luminari, chiunque avrebbe accettato di buon grado il rapporto fiduciario nell'amministrazione della Cosa Pubblica.

Ma purtroppo non è così.

Gran parte degli uomini di fiducia del sindaco si è dimostrata totalmente inadeguata al ruolo. In sei anni, il sindaco e i suoi non sono riusciti a ottenere i risultati sperati, ma, anzi, si ritrovano tutti imputati nel processo sul caso Miramare, che ha già visto la condanna in abbreviato dell'ex assessore Angela Marcianò. Anche questo è un tema importante, che va oltre l'odiosa nota divulgata pochi giorni addietro da un centrodestra colmo di manigoldi, ma che di tanto in tanto si ricorda che esiste la Giustizia: su Falcomatà e su gran parte della attuale e, forse, della futura Giunta Comunale pesa un processo che, in caso di condanna, anche di primo grado, potrebbe decapitare l'Esecutivo e decimarlo, in base alla Legge Severino. Sarebbe, per Falcomatà, una fine ancor più ingloriosa rispetto a una mancata rielezione, evitata solo per l'incapacità di Minicuci & co.. L'augurio è questa ignominia possa essere scongiurata. Ma serve ben più di un cambio di passo: servono un bagno di umiltà, servono capacità e competenze, servono, soprattutto, idee.

Tutte cose che, in questi anni, sono mancate e che Falcomatà avrebbe pagato caramente se il centrodestra, dopo aver propinato, sei anni fa, un ectoplasma come Lucio Dattola, non avesse insistito su una linea inspiegabile. Il ragionamento è semplice: se anche un soggetto improponibile come Minicuci è riuscito a portare Falcomatà fino al ballottaggio, cosa sarebbe potuto accadere con un candidato credibile o almeno decente?

Con i se e con i ma non si fa la storia.

La storia si fa con le scelte. Per questo, ora, Falcomatà deve scegliere bene. E, ancor prima della linea politica, deve scegliere bene gli uomini: basta con gli assessori incapaci, basta con i comunicatori che sono insultatori di professione sui social, basta con le foto con i vari Sebi Romeo e Nino De Gaetano. Basta. Non se ne può più di questa gente. Una delle poche cose buone proferite da Minicuci in campagna elettorale è stato il proposito (sulla cui realizzazione non avremmo nutrito grandi aspettative) di affidare gli assessorati chiave a professionisti di indiscusse capacità. A caldo, nel rispondere a una domanda sulla futura Giunta Comunale, Falcomatà ha parlato di "cambiamento nella continuità". Una frase che, al di là di suonare in maniera assai simile al celeberrimo "come se fosse antani", è preoccupante nelle intenzioni, dato che, un giorno, la speranza, per Reggio Calabria e per i reggini, è di parlare semmai di "continuità nel cambiamento".

L'auspicio è che, terminata la sbornia, Falcomatà possa finalmente comprenderlo.