"Comune strategia eversivo-terroristica tra Cosa nostra e 'ndrine negli attentati degli anni '90": l'inquietante verità del processo "Ndrangheta stragista"

stragecapaci1di Claudio Cordova - "Una comune strategia eversivo-terroristica" condivisa da Cosa Nostra e 'ndrangheta. Questa la conclusione cui è arrivata la Corte d'Assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore, che ha depositato le motivazioni del processo "Ndrangheta stragista", dove sono stati condannati all'ergastolo i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuti colpevoli degli attentati ai danni dei carabinieri effettuati sul suolo calabrese tra l'1 dicembre 1993 e l'1 febbraio 1994.

Per la Corte d'Assise, gli attentati (tra cui quello ai carabinieri Fava e Garofalo) "hanno costituito uno dei momenti più significativi di un cinico piano di controllo del potere politico (fortunatamente fallito) nel quale sono confluite tendenze eversive anche di segno diverso (servizi segreti deviati) per effetto anche della "contaminazione" o "evoluzione" originata dall'inserimento della mafia siciliana e calabrese all'interno della massoneria".

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Nel procedimento, imbastito dal pubblico ministero Giuseppe Lombardo, ha testimoniato infatti l'ex Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Giuliano Di Bernardo, che ha riferito come nella primavera del 1993 ben 28 logge massoniche su 32 in Calabria fossero pesantemente infiltrate dalla 'ndrangheta. Una massoneria calabrese che aveva il suo centro propulsore a Reggio Calabria e che "sosteneva i movimenti separatisti che si stavano diffondendo in quegli anni su tutto il territorio nazionale, motivo per cui egli si era persuaso della esistenza di una "unica regia" dietro la stagione stragista e i movimenti separatisti".

Gli attentati ai carabinieri dunque "devono senza dubbio inquadrarsi nell'ambito della strategia stragista coltivata da Cosa Nostra che è riuscita in ciò a coinvolgere altre realtà criminali (camorra, 'ndrangheta e mafia pugliese) ed a portare tali attacchi su territori diversi dalla Sicilia, e ciò con l'obiettivo di indebolire l'immagine dello Stato e costringerlo a trattare con il potere criminale mafioso".

Una decisione cui i giudici reggini arrivano all'esito di un lungo dibattimento, in cui sono confluiti anche i procedimenti già definiti a carico di Graviano, storico boss della mafia siciliana. Gravissimi fatti e agguati (che dovevano culminare con il fallito attentato allo Stadio Olimpico di Roma) mentre le organizzazioni criminali erano alla ricerca di nuovi e più affidabili referenti politici nell'epoca di passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica. Referenti che dovevano essere disposti a scendere a patti con le mafie e "che furono individuati nel neopartito di Forza Italia di Silvio Berlusconi in cui erano confluiti i movimenti separatisti nati in quegli anni come risposta alle spinte autonomistiche in Sicilia e Calabria".

Una verità, quella sugli attentati ai carabinieri negli anni '90, che arriva dopo un lunghissimo periodo, fatto anche di ingegnosi depistaggi. Per l'esecuzione materiale dei crimini, infatti, verranno condannati quasi nell'immediatezza due giovani, Giuseppe Calabrò e Consolato Villani. Il primo diverrà subito collaboratore di giustizia, fornendo, tuttavia, una versione falsa sul movente. Sarà la collaborazione di Villani (iniziata, però, solo nel 2012) ad aprire squarci di verità sulla causale dei delitti.

Villani, tuttavia, non sarà l'unico collaboratore escusso in aula, anzi. Il procedimento fonda gran parte della sua ricostruzione sulle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, sia calabresi, che siciliani, come Gaspare Spatuzza, per anni vicinissimo proprio ai Graviano del rione Brancaccio di Palermo: "Secondo quanto riferito da diversi collaboratori di giustizia i massimi vertici di Cosa Nostra erano inoltre intervenuti per porre fine alla seconda guerra di mafia, proprio nell'ottica della "reciproca convenienza" [...] La seconda guerra di mafia iniziata nel 1985 con la morte di Paolo De Stefano aveva provocato circa ottocento morti creando gravi perdite economiche non solo ai calabresi, ma anche alle altre organizzazioni criminali e per tale motivo Riina aveva deciso di intervenire per porre fine a tale conflitto".

Rapporti di collaborazione, di affari, con riferimento ai traffici di armi e droga e ai sequestri di persona, con comuni obiettivi e di mutuo soccorso, come nel caso del delitto del giudice Antonino Scopelliti, assassinato quando stava per sostenere l'accusa in Cassazione del maxiprocesso alla Cupola siciliana.

Poco più di mille pagine con cui la Corte d'Assise ha motivato la propria decisione di metà luglio ripercorrono (come, del resto, ha fatto il lungo dibattimento) la storia della 'ndrangheta, l'evoluzione, con la nascita della "Santa" e l'ingresso nella massoneria deviata, i rapporti con le altre organizzazioni criminali, tra cui, soprattutto, Cosa Nostra. Rapporti tenuti e consolidati dai casati più importanti della 'ndrangheta, tra cui i De Stefano e i Piromalli, i clan che più di tutti gli altri hanno contribuito alla modernizzazione della criminalità organizzata calabrese.

Al salto di qualità, da mafia agro-pastorale, a società segreta e poi holding del crimine.

E la 'ndrangheta di oggi passa anche dalle decisioni prese in quegli anni in cui si consolida il legame con Cosa Nostra. Anche per quanto concerne la strategia stragista messa in atto dai siciliani dopo aver capito che alcuni dei potenti referenti politici e istituzionali avevano tradito le attese. Una lunga scia di sangue, sia sull'Isola, come gli attentati ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche sul territorio continentale, come l'attentato al giornalista Maurizio Costanzo, la strage dei Georgofili, nonché il fallito attentato all'Olimpico, per dimostrare che le mafie potevano colpire ovunque e che non erano solo un fenomeno del Meridione. Dinamiche in cui entra anche la criminalità organizzata calabrese: "Ndrangheta e Cosa Nostra avevano una necessità impellente: indurre lo Stato a trattare" scrivono i giudici della Corte d'Assise. Perché, è sottolineato in sentenza, una trattativa c'era: "Il potere contrattuale di Cosa Nostra si sarebbe accresciuto se gli attentati fossero stati realizzati nel continente con l'appoggio non solo delle altre famiglie siciliane, ma anche della 'ndrangheta nella sua espressione più alta, che non poteva rifiutare il suo sostegno in ragione degli acclarati e risalenti collegamenti e cointeressenze criminali tra cosche mafiose siciliane e la componente di vertice della 'ndrangheta calabrese rappresentata dalle famiglie De Stefano-Piromalli". E l'obiettivo era condiviso: "La ragione dell'appoggio dato dai calabresi era la comune finalità della modifica del rigoroso regime carcerario del 41bis dell'ordinamento penitenziario". La strategia di Totò Riina, insomma, era "fare la guerra per poi fare la pace". Un progetto stragista, scaturito dopo diverse riunioni, tra cui quelle di Enna e Nicotera, e "sostenuto da contesti massonici e piduisti". Dalle risultanze probatorie valorizzate dalla Corte d'Assise di Reggio Calabria "emerge come tra il 1991 e il 1992 si sia registrata unna singolare convergenza di interessi tra ambienti della massoneria deviata (già legati a Licio Gelli e alla P2), della destra eversiva (facente riferimento a Stefano Delle Chiaie) e della criminalità organizzata, nel proseguire l'obiettivo comune del c.d. leghismo meridionalista, che aveva di mira il proposito di destabilizzare il quadro politico dell'epoca e sostituire la vecchia classe dirigente, per fini diversi di ciascuna componente del sistema, ma convergenti".

In Calabria "il sostegno a quel disegno stragista la 'ndrangheta lo ha dato proprio attraverso i tre agguati ai danni dei carabinieri commissionati a Villani e Calabrò nel mese di novembre 1993 realizzati in stretta consecuzione temporale e con la medesima arma al chiaro fine di esplicitare agli investigatori il collegamento tra di loro e con la strategia ideata e avviata in Sicilia dai corleonesi per "chiudere" la trattativa con lo Stato".

"Il collante del sistema è quindi la massoneria deviata, con cui da sempre sono legate a stretto filo 'ndrangheta e Cosa Nostra" scrive la Corte d'Assise di Reggio Calabria.

Anni bui e inquietanti, in cui mondi oscuri e occulti avrebbero giocato un ruolo fondamentale. E' il caso delle rivendicazioni firmate "Falange Armata", una sigla che rimandava a un inesistente gruppo, frutto di una strategia messa in atto forse anche grazie all'apporto di un nucleo dei Servizi Segreti: "Le stragi, rivendicate con l'utilizzo della sigla Falange Armata, avevano tutte un comune denominatore e cioè i depistaggi, posti in essere al fine di non consentire l'individuazione dei veri responsabili e creare un diffuso terrore nella popolazione per alzare il livello di ricatto verso gli interlocutori politici vecchi e nuovi. [...] non può affatto escludersi, anzi appare piuttosto assai probabile, che dietro tali avvenimenti vi fossero dei mandanti politici che attraverso la "strategia della tensione" volevano evitare l'avvento al potere delle sinistre, temuto anche dalle organizzazioni criminali, che erano riuscite con i precedenti referenti politici a godere di benefici e agevolazioni".

Una sigla che doveva creare sconcerto nell'opinione pubblica e, quindi, contribuire all'indebolimento delle strutture istituzionali.

Alla luce di tutto questo, la Corte d'Assise ha disposto e adesso motivato le due condanne a carico di Rocco Santo Filippone, considerato uomo di spicco della cosca Piromalli, e il boss siciliano Giuseppe Graviano, già condannato in passato per fatti di sangue in Sicilia. Sarebbero loro i due mandanti degli attentati ai carabinieri che si inquadravano nella più ampia strategia stragista messa in atto da 'ndrangheta e Cosa Nostra. Filippone in rappresentanza della elite della 'ndrangheta, Graviano come uomo forte della mafia siciliana, avrebbe anche partecipato a una riunione preparatoria nella Piana di Gioia Tauro.

Ma per la Corte d'Assise quello che si è riusciti ad accertare a Reggio Calabria è solo un punto di inizio, un primo approdo che "lascia intravedere il coinvolgimento nelle vicende esaminate di ulteriori soggetti che hanno concorso nella ideazione e deliberazione degli eventi in esame"