Il Centro Diocesano Vocazioni in visita alla Casa Famiglia per malati di AIDS di Castellace di Oppido Mamertina (RC)

In un piccolo paese del comune di Oppido Mamertina, posto ai piedi della montagna dell'Aspromonte un tempo ricordato soprattutto per fatti legati alla malavita nasceva, più di vent'anni fa, quella che sarebbe stata e continua ad essere una delle più grandi e belle realtà sociali della nostra terra di Calabria che quotidianamente traduce il Vangelo in fatti concreti. E' la Casa Famiglia per malati di AIDS di Castellace ed è qui che si è recato in visita domenica 2 dicembre il Centro Diocesano Vocazioni della Diocesi di Oppido Mamertina – Palmi insieme al suo Direttore don Gaudioso Mercuri, per vivere insieme, come ogni anno, un'esperienza caritativa accanto a chi è nella sofferenza.

La Casa Famiglia nasce agli inizi degli anni novanta quando don Pino De Masi allora direttore diocesano Caritas, era rimasto profondamente scosso dalla morte di un giovane che egli aveva accolto e curato come fosse un figlio. Don Pino sentì che come Chiesa bisognava fare qualcosa, che non si poteva restare immobili davanti al grido disperato degli ultimi. Ne parlò con il Vescovo Mons. Crusco ed insieme a don Bruno Cocolo, allora Vicario generale, ed al parroco di Castellace, don Serafino Violi si impegnarono immediatamente per realizzare la prima Casa di accoglienza di tutto il sud Italia, la più grande per numero di persone accolte. Essa fu inaugurata il 27 aprile del 1996 e la prima ospite, Francesca, fu accolta il 7 febbraio 1997.

L'esperienza vissuta a Castellace è davvero stata speciale: è bastato varcare la soglia del cancello, entrare nella Casa ed incontrare i volti di Roberto, Bruno, Vincenzo, Maria, Vittorio, Willy, Giuseppe, Nicola e Daniela per accorgersi che quell'esperienza sarebbe entrata nel nostro cuore per rimanerci per sempre. Insieme agli ospiti della Casa vi erano, Donatella Grillo, assistente sociale e Paolo Tropeano, operatore e diacono, che prestano il loro servizio, da sempre, con grande professionalità e umanità ed infine vi erano anche due seminaristi della nostra Diocesi - Tommaso Calipa e Giovanni Rigoli - che, al quinto anno di formazione presso il seminario maggiore di Catanzaro, sono stati destinati a svolgere il loro tirocinio pastorale in questa struttura e si occupano: il primo, dell'attività catechetica e di quella ludica, ed il secondo di ascoltare gli 11 ospiti della Casa ogni volta che hanno voglia di raccontarsi o di comunicare qualcosa. Ad accoglierci don Emanuele Leuzzi, parroco di Delianuova e successore di don Bruno Cocolo, di compianta memoria, nel ruolo di Presidente dell'Ente Morale Famiglia Germanò di cui fa parte la Casa di Castellace, insieme al Centro di riabilitazione ambulatoriale e a ciclo diurno per disabili di Oppido Mamertina, alla RSA "don Loria" di Tresilico e alla Casa di riposo "San Fantino" di Lubrichi.

Don Emanuele ha voluto aprire l'incontro anzitutto ricordando don Bruno e l'amore profondo che ha nutrito per tutti gli ospiti che sono stati accolti, sin dal primo giorno, nella Casa di Castellace, persone che avevano come unica possibilità la strada, che vent'anni fa voleva dire morire abbandonati in qualche angolo buio. "Don Bruno – ha detto don Emanuele – ha scelto da sempre gli ultimi degli ultimi da amare, i poveri, gli emarginati, quelli che nessuno vuole! In quegli anni l'Aids era all'apice della sua diffusione ed erano in tanti ad averne paura ma – ha continuato don Emanuele - don Bruno non ha mai avuto paura di niente. Lui non ha mai avuto timore di abbracciare o baciare gli ospiti della Casa , uomini e donne che ha amato profondamente come figli ed ai quali si è donato completamente". Il servizio con le persone affette da Hiv richiede solo un'attenzione in più, ma la domanda di tenerezza è la stessa di chi vive nella sofferenza: hanno bisogno di un amore gratuito e che curi le loro ferite particolarmente quelle dell'animo, quelle di chi vive tra i pregiudizi, allontanato da tutti, come se non avesse più diritto ad un abbraccio che certamente non contagia ma piuttosto dona. Sono persone che hanno contratto l'HIV ma non hanno perso il diritto di poter vivere integrati nella società e don Bruno questo lo aveva capito bene. Insieme a tutto il personale della Casa ha sin dall'inizio lavorato affinché ciascuno potesse vivere una vita per quanto possibile "normale", riacquistare la propria dignità di essere umano, quella stessa dignità di cui erano stati privati al momento della scoperta di aver contratto l'HIV. "Inizialmente non è stato semplice, raccontano don Emanuele e Donatella – ma poi tutti a Castellace hanno sostenuto e accolto i nostri ospiti ed oggi sono ben voluti e bene integrati in tutto il territorio".

Gli ospiti della Casa sono persone che hanno alle loro spalle storie di tossicodipendenza, furti, carcere, prostituzione ma soprattutto tanta e tanta mancanza d'amore. In un clima di grande familiarità, tra il profumo del caffè appena preparato, ognuno di loro ha liberamente condiviso insieme a noi il racconto della propria storia e noi tra un sorriso, bocche silenziose e sguardi lucidi di commozione ascoltavamo. Ascoltavamo loro che ci trasmettevano tutto l'amore che avevano dentro, tutto l'amore che nella Casa avevano ricevuto da tutte le persone che dentro vi operano e che non hanno solo raccolto i resti di quelle vite distrutte ma hanno ridato ai loro volti un sorriso ed ai loro cuori una speranza. A testimoniarlo sono stati gli occhi vispi di Roberto; la dolcezza di Nicola, un clochard che dopo tanto girovagare ha finalmente trovato la sua casa; la timidezza di Bruno; la voglia di riscatto di Willy che dopo il carcere, la droga, il sentirsi rifiutato ed allontanato dalla sua famiglia, ritrova energia, affetto e libertà nella Casa. E poi ancora Maria e Daniela, le uniche due donne della Casa...due storie di coraggio e di amore! A Maria non mancava nulla, viveva in una bella casa, era sposata e aveva dei figli ma poi, costretta a prostituirsi dal marito, non sa opporsi, comincia a far uso di droghe...comprende però di dover fare qualcosa per i suoi figli. Un giorno chiama lei stessa gli assistenti sociali...e rinunciando ai suoi figli, col coraggio e l'amore di madre, ne salva le loro vite. Daniela infine tocca il cuore di tutti. E' Donatella a raccontare la sua storia chiedendole il permesso di farlo. E' la storia di una bambina che dai sei agli undici anni viene abusata e picchiata dal padre fino a quando non riesce a ribellarsi. Appena può va via di casa, accolta dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, che pure ha incontrato, vola in Africa come volontaria e lì incontra e si innamora di un ragazzo. La sua vita poteva finalmente cambiare, forse poteva crearsi una famiglia, forse aveva trovato quell'amore che tanto cercava, quell'amore che le era stato negato...no! Per Daniela le prove cui la vita l'aveva sottoposta non erano finite perché da quell'amore contrae l'AIDS.

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E' vero, le loro storie sono storie forti ma ciò che maggiormente colpisce non è il racconto in sé quanto la loro voglia di vivere nonostante tutto, la loro voglia di sorridere, di non lasciarsi andare. Queste persone ci hanno permesso di entrare in punta di piedi nelle loro vite, di attraversare il loro dolore, di camminarci dentro per accorgerci ancora una volta di quanto quando incontri l'Amore, esso trasformi la tua vita e ti renda capace di amare ancora e per sempre. E' nell'amore che la nostra vita ha il suo fine perché da esso è nata e, passando per la croce, all'Amore ritorna!

Al termine dell'incontro, tutti loro ci hanno voluto salutare con il canto Tu scendi dalle stelle ed hanno donato, consegnandolo a don Gaudioso, un attestato incorniciato in ricordo della visita ricevuta. A loro invece la promessa di rivederci ancora e come dono simbolico dei segnalibri che riportavano la preghiera E' Natale di Madre Teresa di Calcutta che con le sue parole ci ricorda che "è Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano".