Capitanerie di porto, l’allarme di Pettorino: “A Gioia Tauro urge governance ordinaria. Il diportismo va potenziato rispettando il mare”

pettorinogiovannidi Mario Meliadò - «Il diportismo in Calabria ha indiscutibili potenzialità, ed è un asset finora fortemente sottoutilizzato. E per il porto di Gioia Tauro, vedrete, torneranno i bei momenti di una volta anche perché il transhipment, che ha decuplicato i volumi di traffico in poco più di vent'anni, è ancòra una risorsa commerciale fondamentale su scala planetaria». Parola di Giovanni Pettorino: alla guida del Corpo delle Capitanerie di porto dal gennaio scorso, stamattina alla sede della Guardia costiera di Reggio Calabria – a margine della sua prima visita a una Capitaneria di porto, dopo Napoli, dal momento dell'incarico – l'ammiraglio ispettore capo Pettorino ha incontrato i cronisti, accompagnato dal comandante della Capitaneria reggina, ammiraglio Giancarlo Russo; in mattinata, ha avuto occasione d'incontrare anche il prefetto Michele di Bari, il sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà e il presidente della Corte d'appello reggina Luciano Gerardis.

Accanto a temi più squisitamente attinenti alla quotidiana attività della Guardia costiera – dalla tutela di mare e litorali sotto il profilo ambientale all'attenzione per il corretto esercizio della pesca –, i giornalisti hanno chiesto a Pettorino soprattutto di Gioia Tauro e portualità, considerato anche che tra il 1999 e il 2001 l'oggi comandante del Porto guidò proprio la Capitaneria di porto gioiese e, nel biennio 2000/01, a tale incarico sommò quello di commissario aggiunto per l'Autorità portuale (all'epoca in cui commissario straordinario era il generale Mario Buscemi, poi consigliere della Corte dei conti e consigliere militare dell'ex presidente del Consiglio "tecnico" Lamberto Dini, oggi presidente di Assoarma, l'Assemblea del Consiglio nazionale permanente delle associazioni d'Arma), ma pure dello straordinario operato per il salvataggio dei migranti in mare («Negli ultimi 4 anni, abbiamo coordinato oltre 4mila operazioni di soccorso tra Sud Italia e Maghreb, soccorrendo 600mila persone: cioè 3 volte l'intera popolazione della città di Reggio Calabria, noi che non siamo poi così tanti, complessivamente contiamo 10.600 uomini, esercitando competenza su metà del Mediterraneo, sul quale pure si affacciano 23 diversi Paesi...»).

«In Italia, il mare è un fatto importantissimo: e la Calabria vanta un decimo del totale di 8mila km di costa del nostro Paese. Le Capitanerie di porto sono, alla fine, lo "sportello al pubblico" di chi usa il mare», ha esordito Giovanni Pettorino, non senza decantare le bellezze calabresi e l'incanto davanti alla Fata Morgana, vista per la prima e unica volta nella vita nell'inverno del 2001, a Gambarie: «È stata la cosa più bella che io abbia mai visto nella vita».

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Quanto in particolare all'infrastrutturazione del porto tirrenico, come pure del suo sostanziale declino, ha ricordato l'ammiraglio che «lo Stato ha fatto tanto», ripercorrendo la storia di anni di mancato sviluppo del sito portuale (con le débacle prima del Quinto Centro siderurgico e poi della centrale a carbone dell'Enel); una storia fallimentare, solo dopo rovesciata dall'intuizione in chiave transhipment del tandem Ravano-Costa. Sotto il profilo della governance, Pettorino ha fatto presente come in atto il porto di Gioia sia commissariato proprio da quell'Andrea Agostinelli già alla guida della Capitaneria reggina. «Si stanno costituendo i Comitati di gestione: e già la presenza del comandante della Capitaneria all'interno del Comitato di gestione attesta la presenza dello Stato, perché noi non siamo portatori d'interessi particolari ma dell'interesse pubblico, in quanto corpo dello Stato, corpo della Marina militare alle dipendenze funzionali del Ministero dei Trasporti».

Rimangono le enormi perplessità sulla parabola discendente del porto gioiese, a fronte dell'enorme impennata planetaria del movimento-container come sistema di trasporto delle merci, anche in termini di stima futura degli analisti (le previsioni degli esperti parlano di un impetuoso +550% del transhipment su scala mondiale in capo al 2030). Cosa manca a Gioia per riprendersi la leadership di settore nell'area mediterranea? Perché la stessa Italia ha preferito e preferisce da anni puntare su altri porti? «Partiamo dai punti di forza di Gioia Tauro – risponde con estrema calma Pettorino –: un'invidiabile baricentricità nel contesto del Mediterraneo, ma anche quasi 4 km di banchina lineare. Ed è uno dei pochi porti al mondo in grado di far manovrare agevolmente le nuove Grandi Navi da 21mila teus e circa 400 metri di lunghezza. Per non parlare dell'ottima capacità dei fondali, che negli anni peraltro sono stati anche adeguatamente approfonditi. Ma non mancano neppure i punti deboli... Per esempio, oggi non abbiamo una governance ordinaria: sì, c'è appunto un commissario, e Agostinelli sta facendo benissimo e ha affrontato benissimo tutte le sfide che gli si sono profilate davanti. Però, appunto, è un commissario, che quindi non può avere un orizzonte pluriennale e d'interlocuzione come può sicuramente averlo un presidente». E non è finita qui: «Più in generale – è l'analisi formulata da Pettorino –, c'è l'assoluta necessità di potenziare il transhipment e di "ridare un ruolo" a Gioia Tauro: come sapete, in Nord Africa ci sono porti assolutamente concorrenziali, per il minor costo del lavoro ma anche perché ci troviamo davanti a un mercato e a un mondo che cambiano. Nel '95 si movimentavano 60 milioni di container in tutto il pianeta: l'anno scorso, sono stati 450 milioni. E dalle 20-30 compagnie di una volta il transhipment su scala mondaile adesso è in mano a 3-4 operatori. Così come stanno cambiando gli assetti degli stessi terminalisti, tra i quali fanno ormai capolino perfino i fondi d'investimento». Tanti punti di cui tener conto per arrivare a una conclusione sola, più innocentista che iconoclasta rispetto alle eventuali responsabilità politico-istituzionali nella penalizzazione del porto tirrenico: «Tutto lascia pensare che non ci sia una scelta strategica di fondo... è il mercato che "fa" le scelte. La politica in Italia, anzi, ha svolto il suo ruolo riformatore: ora tocca al nostro sistema economico e imprenditoriale fornire delle risposte, fermo restando che quello odierno non è sicuramente il più facile dei momenti per Gioia Tauro. Non dobbiamo però dimenticare – è il monito del comandante del Corpo delle Capitanerie di porto – che non ovunque possono attraccare anche le navi di grandi dimensioni, preziose per realizzare importanti economie di scala: credo dunque che il transhipment, seguito dallo smercio tramite feeder, rimanga di strettissima attualità... ecco perché interverrei nei tempi più stretti sui punti di debolezza. Sì, anche la refrattarietà di Messina a stare "sotto" Gioia Tauro nell'unica Port Authority del Mar Tirreno Meridionale può intendersi come una delle criticità, però ridurre le Autorità portuali da 24 a 15 non è un'avventura, bensì una scelta che ha fatto sèguito a studi molto puntuali e accurati».

E il ministro (e oggi capogruppo del Pd alla Camera) Graziano Delrio? «In questi anni di Governo, ha fatto benissimo – ha espresso la sua opinione l'ammiraglio Pettorino –. I tentativi di riforma dei nostri porti si trascinavano inutilmente da anni e lui la riforma, invece, l'ha fatta davvero; e in soli 15 mesi, e inserendo i porti al centro della logistica nazionale. E intervenendo sulla governance, però mettendo i comandanti delle Capitanerie come commissari delle Autorità portuali, man mano che i relativi presidenti scadevano, per evitare conflittualità... Anche se sommare due incarichi per natura così distanti tra loro è un impegno grande: ve lo posso assicurare, visto che a me è stato chiesto di farlo a Genova. Però le Capitanerie sono un patrimonio: noi facciamo attività operative "spinte", pensate soltanto al soccorso dei migranti, anche già solo dal punto di vista organizzativo noi non eravamo assolutamente attrezzati e invece ci siamo attrezzati sùbito e abbiamo risposto alla grande. Pensate che, delle 600mila vite messe in sicurezza le nostre motovedette, da sole, ne hanno salvate 150mila».

C'è tempo poi per ribadire l'enorme attenzione verso i limiti all'esercizio dell'attività ittica e a una responsabilità ambientale diffusa, «perché il mare è di tutti: non un slogan, ma una consapevolezza vera che anche i nostri figli hanno il diritto di poter fruire in futuro di un mare limpido, non inquinato, pescoso allo stesso modo in cui l'abbiamo avuto noi genitori. E invece di pesce, nel "mare nostrum", ce n'è sempre meno: sotto il profilo della pescosità, è reale il pericolo che le acque del Mediterraneo si vadano esaurendo». E c'è tempo per uno "schiaffo" ulteriore, in questo caso collegato alla grande disattenzione che ha avvolto le immense potenzialità del diportismo in Calabria: «Ci sono le premesse per fare di più, molto di più in questo settore; anche se non me la sento di dire che i porti "si sono chiusi" e si sono negati allo sviluppo produttivo. Le esigenze sociali e imprenditive sono importanti, ma vanno coniugate solo fatta salva l'urgenza di mantenere impregiudicata la sostenibilità ambientale dei luoghi. Che diportista è quello che vuol piazzare 500 nasse o migliaia di ami? Giusto che esistano delle limitazioni. Peraltro le coste in Italia sono Demanio pubblico: certo lo Stato può assegnare delle concessioni, ma l'uso delle coste va fatto non nel mero interesse dei privati, bensì nell'esclusivo interesse pubblico. Cioè, nell'interesse presente e futuro di tutti. A fronte delle proteste di chi vorrebbe un maggior sfruttamento degli ambiti portuali a finalità produttive, questo dobbiamo comunque costantemente ricordarlo».