Pd, per lo “Jan Palach” un teatro pieno di voglia di rivolta. E di contare, finalmente: a Catanzaro come a Roma

platea Bdi Mario Meliadò - Due bocconi amari, li hanno trangugiati anche loro, eh. Anzi, a ben pensarci, sono stati più di due... Ma il Laboratorio sociopolitico "Jan Palach" – lo stesso che ai "tempi belli" della famigerata e pluricitata "Primavera di Reggio" contava un assessore comunale al Patrimonio edilizio (Gianni Minniti), due consiglieri provinciali (Nicola Malaspina e Tina Tripodi) e contava su un esperto segretario di partito dei Laburisti (Nino Cotroneo) – oggi almeno custodisce la decenza d'interrogarsi sulle ragioni di una sconfitta drammatica del Partito democratico, quella del 4 marzo scorso alle Politiche.

Il Teatro Metropolitano (spesso scelto per le iniziative del "Palach", che si parlasse di questione abitativa o di situazione politica, anche nei lunghi anni in cui era semplicemente "Dopolavoro ferroviario") accoglie decine di persone. Un teatro pieno di rivolta, più che di gente: ipercritica la posizione non tanto nei confronti di questa o di quell'Amministrazione, come spesso capita tra i militanti dei partiti tradizionali specialmente quando al voto non manca moltissimo, ma dello stesso Partito democratico. Che viene considerato quasi un partito mai nato, fin dall'inizio: per chi segue da tempo la politica espressa dal laboratorio non è una grande novità, l'unica novità è quest'espressione, con l'incedere degli anni, è stata incredibilmente fagocitata dalla porzione maggioritaria del Pd cioè proprio quella che, per utilizzare una ruvida espressione che in questi giorni è stata mutuata dallo "Jan Palach", «l'ha portato nelle fogne», per quanto paradossale questo possa sembrare.

Francesco Barreca  Giovanni MinnitiL'idea di partenza, e che si snocciola molto bene nel corso degli interventi (pochi, diciamolo. Forse perché «i militanti del Partito democratico sono anche militanti delusi», come si sarebbe detto al termine), per una volta è rispecchiata alla grande dal tema dell'iniziativa, «titolo e sottotitolo» come ha scandito con efficacia Roberto Panzera, una delle anime "storiche" del Laboratorio.
Resto nel Pd, ma lo voglio con meno mestieri e più passione recitava in effetti il titolo dell'appuntamento; e poi, a mo' di sommario, Non potrà essere la stessa classe dirigente che ha prodotto il fallimento a guidare, da sola, la rinascita del Partito democratico. Due "pilastri" sviscerati nel corso dell'iniziativa e che forse non i dirigenti, ma la base dèm sente nella sua generalità come profondamente propri.

«Il perché di questa débacle? I motivi sono tanti, ma quelli gravi sono forse pochi e ben identificabili – scandisce Panzera, nell'articolato intervento d'apertura –. Certo in un partito come il Pd dimenticare la gente per lasciare spazio a "un uomo solo al comando" come Matteo Renzi è stato un errore fondamentale. E poi, noi stiamo parlando di una sconfitta nettissima, ma quando è stata analizzata? Mai, perché del resto da almeno 10 anni in questo partito non si procede mai a una vera, genuina riflessione dopo le sconfitte elettorali, se non all'interno di ristrette conventicole... Tutto questo non va più bene; e soprattutto, non serve più».

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Per arrivare a un secondo intervento, passano decine di secondi d'imbarazzato silenzio. E questo malgrado ci siano tanti militanti e, fra loro, anche diversi elementi d'esperienza indiscutibile, dai consiglieri comunali Nino Mileto (La Svolta) e Nino Nocera (A testa alta) all'avvocato Francesco Barreca, noto alfiere della tutela dei consumatori, passando per Angela Romeo, per anni segretaria provinciale neosocialista, e Nino Barreca, attivissimo sul territorio e in particolare nell'ex Quinta Circoscrizione.
Poi si fa sotto Mimma Prestileo, che demolisce l'Aventino deciso su scala centrale dopo le Politiche: «Adesso si sta per formare il Governo, che senso ha restre deliberatamente all'opposizione? Diciamo che all'interno del Partito democratico ci sono tanti elementi che possono contribuire validamente a un lavoro collettivo, ma Renzi ha rubato la scena accentrando tutto. Adesso, non si può sicuramente restare con un partito al 18%: forse questa fase serve davvero a capire come bisogna ripartire. E allora – ha rilevato la Prestileo, "divisa" tra critiche alla gestione piddina degli ultimi anni e urgenza di guardare avanti – diciamolo: va benissimo la lotta per i Diritti, va bene la battaglia per lo ius soli, però la realtà è che contemporaneamente il partito ha perso completamente il contatto con la povera gente».
L'idea adesso è di «lanciare le proposte del Pd, anche perché il Movimento Cinquestelle è stato il partito più votato, sì, ma non abbastanza da poter governare da solo. Davvero, non ci si può limitare a dire "stiamo all'opposizione": anzi, pure in questo senso l'era Renzi va superata. E poi – ammette la Prestileo –, servirebbe una riflessione sulla necessità dell'abbattimento dei costi della politica. Sì, è una proposta forte di Cinquestelle: ma i pentastellati su questo non hanno torto, e proprio per questo dobbiamo "spuntare" questa loro pallottola che può farci tanto male. In giro, parlando con gli amici dicono tutti la stessa cosa: anche perché in troppi, in questi anni, non hanno fatto politica per passione, per amore per la politica, ma esclusivamente per lucrarne una rendita di posizione».

«Mai avrei pensato d'impegnarmi in un partito politico, fino a poco tempo fa – esordisce la giovane Maria Grazia Ambrogio –. La scena, guardando alla mia generazione, non è delle più confortanti: in tanti non riescono a realizzarsi professionalmente, in tanti stanno ad aspettare qualcosa che, poi, non arriva mai. E tra l'altro, proprio per questa ragione, sono oggettivamente più esposti alle tentazioni della criminalità organizzata, mentre i media ci ricordano quotidianamente quanto sia elevato il tasso di disoccupazione da queste parti. Così, nel frattempo, io ho deciso d'avvicinarmi alla politica, e di farlo col Partito democratico, in cui mi riconosco: e avvicinandomici da giovane, con molta umiltà, debbo dire che ho capito che in politica non ci sono solo i "mestieranti", ma pure tante persone che fanno politica per passione e sanno essere realmente vicine alla gente. Perché – riflette la Ambrogio – sono proprio le persone comuni e le loro condizioni l'obiettivo principale di un partito come il Pd: siete voi, a fare questo partito».
Carmelo Giarmoleo riparte a sua volta da Italo Falcomatà, «un uomo e un sindaco che ho molto stimato. Dopo, ho conosciuto anche il figlio e attuale primo cittadino di Reggio Calabria. Che dire dello scenario politico? Su scala nazionale, i giochi non sono riusciti soprattutto per il populismo del Movimento Cinquestelle, vero. Però in questi anni quante volte anche lo "Jan Palach" ci ha proposto di votare per persone che nessuno di noi conosceva? – esplode l'autocritica –. Il caso più eclatante è forse quello delle Politiche precedenti, quando ci è stato chiesto di votare per Rosy Bindi: nessuno di noi l'aveva mai vista. E sinceramente mi chiedo quale sia stato, dopo quella scelta, il ritorno positivo per il nostro territorio... Così come mi chiedo, la volta scorsa e anche stavolta votare per il segretario regionale del partito Ernesto Magorno, che giovamento ci ha dato?». Giusto un antipasto, perché la portata fumante di rabbia è in arrivo: «Queste persone vanno aiutate... a uscire di scena!, non a continuare come prima. E la nostra realtà territoriale, sarebbe bene ricordarlo, è quella della conurbazione: servirebbe fare di più e avere più risorse in questa direzione», scandisce da buon vigile del fuoco di stanza a Messina.
Viste le premesse, la linea che viene tirata ha un sapore inevitabile: «La proposta è avere una ribellione interiore, e tirarla fuori, in modo che la situazione e che per esempio tutti i nostri giovani possano restare qui con noi e non debbano portare le loro conoscenze e il loro talento in giro per l'Italia e per il mondo, lasciando dietro di sé soltanto macerie».

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