“Copia e incolla” nella sentenza: la difesa del boss De Stefano chiede ispezione ministeriale a Reggio Calabria

destefanogiuseppe500di Claudio Cordova - La difesa del boss Giuseppe De Stefano, considerato il "Crimine" della 'ndrangheta di Reggio Calabria, ha chiesto un'ispezione ministeriale presso il Tribunale di Reggio Calabria, alla luce di una questione già posta sul tavolo nel corso del procedimento d'appello "Meta", che vede alla sbarra De Stefano e il gotha della 'ndrangheta reggina. Già alcune settimane fa, infatti, l'avvocato Marcello Manna, uno dei difensori del boss De Stefano, aveva chiesto la scarcerazione del detenuto, punito duramente in primo grado dal Tribunale presieduto da Silvana Grasso.

Nella richiesta avanzata nel corso dell'ultima udienza, il difensore ha sostenuto che il Tribunale reggino di primo grado nel redigere le motivazioni della sentenza con cui sono stati condannato boss e gregari della 'Ndrangheta reggina, contengano molti passaggi in cui evincerebbe una sorta di sopravopponibilità con quanto scritto nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nel 2010 dal gip distrettuale.

Una sorta di "copia e incolla", che la difesa stigmatizza.

Il collegio giudicante infatti non può "entrare in contatto" con quanto scritto dal gip se non per quanto riguarda esigenze cautelari durante la celebrazione del dibattimento. Se la Corte d'Appello dovesse accogliere l'eccezione sollevata dell'avvocato Manna si creerebbe un vero caos giudiziario. La sentenza per Peppe De Stefano sarebbe nulla e allora si dovrebbe eventualmente ricominciare tutto da capo. La Corte d'Appello si è riservata sulla decisione che renderà nota nella prossima udienza fissata per domani.

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Ora, però, l'avvocato Manna ha investito della questione anche il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, al fine di rivedere la regolarità del processo subito da De Stefano. Il processo "Meta" si è concluso il sette maggio del 2014 quando il collegio presieduto da Silvana Grasso ha comminato 20 anni per Pasquale Condello, 27 anni per Giuseppe De Stefano, 20 anni ciascuno per Giovanni Tegano e Pasquale Libri. Pene esemplari per i quattro boss, ma anche per gli altri imputati 17 anni e 9 mesi per Cosimo Alvaro, il boss di Sinopoli giunto in città per controllare i locali della movida, 23 anni per Domenico Condello. detto "Gingomma", 21 anni per Antonino Imerti (cugino del "Nano Feroce"), 16 anni per Domenico Passalacqua, 10 anni per Stefano Vitale e 13 anni per Natale Buda, 16 anni per Umberto Creazzo, 23 anni per Pasquale Bertuca, 18 anni e 8 mesi Giovanni Rugolino, 3 anni e 6 mesi per Antonio Giustra, 3 anni per Carmelo Barbieri, 6 anni per Antonino Crisalli, 4 anni e 6 mesi per Rocco Palermo. Il Tribunale ha inoltre disposto un pagamento di due milioni di euro per le Istituzioni costituite parte civile e 500mila euro per l'associazione Libera.

Un processo nato dall'operazione del Ros dei Carabinieri, che scatterà nel giugno 2010.

Un'ipotesi investigativa (e poi accusatoria) ambiziosa: dimostrare come le principali cosche di Reggio Calabria – i De Stefano, i Tegano, i Condello e i Libri – si fossero trovate d'accordo nel comporre una sorta di direttorio, con a capo Giuseppe De Stefano, per gestire in maniera automatizzata (e indisturbata) il giro delle grandi estorsioni e dei grandi appalti. Sarebbero le "nuove regole" che proprio Peppe De Stefano, figlio di don Paolino, carismatico boss ucciso agli albori della seconda guerra di mafia reggina, avrebbe portato in città, per controllarne ogni respiro della vita sociale, economica e politica. Quattro grandi cosche che, dopo la mattanza scatenatasi dal 1985 al 1991, avrebbero trovato la pace, ma, soprattutto, sarebbero state in grado di guardare in faccia la modernità, dandosi un nuovo assetto.

Accanto alla questione della sovrapponibilità della sentenza con quanto già contenuto nell'ordinanza di custodia, la difesa di De Stefano ha segnalato al Ministero della Giustizia anche presunte irregolarità nella costituzione del Collegio che ha definito il procedimento di primo grado: stando a quanto sostenuto dall'avvocato Manna, non sarebbe possibile rinvenire i decreti di applicazione al processo del presidente Grasso, che sarebbero dovuti essere a firma del presidente del Tribunale di Messina, dove il magistrato era stato trasferito mentre si celebrava il dibattimento.

Nel documento, la difesa avrebbe indicato tutti i passaggi "copiati" dalla ordinanza di custodia cautelare nella sentenza. Una questione che negli intendimenti della difesa di De Stefano dovrebbe arrivare anche al Consiglio Superiore della Magistratura.