Il procuratore Paci scrive al Dispaccio: “Perché quelle foto dell’omicidio Chindemi?”

Paci Gaetano nuova 1Gentile direttore, intervengo in seguito al Vostro articolo di ieri " Omicidio Chindemi le foto della scena del crimine", per segnalarle l'esigenza di rimuovere le foto pubblicate.

Si tratta di foto che ritraggono la scena del crimine e il cadavere ( sia pure coperto da un lenzuolo ) della persona uccisa a pochi metri dall'abitazione ove egli viveva con la sua famiglia.

Non c'è dubbio che tali foto non sarebbero state scattate se chi era preposto alla vigilanza dell'integrità della scena del crimine fosse stato più attento. E di ciò ho già chiesto conto a chi di dovere.

Conoscendo la Sua professionalità non devo certo ricordare che la scena del crimine di un omicidio costituisce la principale e più importante fonte di indizi e di prove per orientare sin dall'inizio le indagini, sicché non può essere tollerata alcuna forma di ingerenza da parte di soggetti diversi dagli investigatori delegati dalla magistratura.

Peraltro nel caso di un omicidio, come in genere di tutti gli episodi di violenza, anche il doveroso esercizio dell'attività giornalistica va incontro a limiti codificati: l'art. 8, in particolare, del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica (Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 29 luglio 1998, Gazzetta Ufficiale 3 agosto 1998, n. 179) si occupa della " Tutela della dignità delle persone" e stabilisce che, salva l'essenzialita dell'informazione, il giornalista "non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona ne si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell'immagine."

Pur apprezzando il ruolo che il giornale on line da Lei diretto quotidianamente svolge, e conoscendo la Sua autentica vocazione per il libero ed indipendente esercizio della professione giornalistica, mi chiedo e le chiedo: cosa può aggiungere la pubblicazione di quelle foto alla rappresentazione degli orrori che la 'Ndrangheta ha inflitto e infligge a questo territorio? Quale contributo all'informazione dei Suoi lettori può dare la foto di un cadavere steso a terra? Io credo nessuno. Anzi credo che l'unico risultato che si consegua sia quello di infliggere una ulteriore sofferenza, non solo a chi ha perso la vita, ma soprattutto ai suoi familiari e a chi gli voleva bene che si vedranno costrette a rievocare dal web queste tragiche immagini.

Conoscendo la Sua sensibilità non dubito che vorrà prendere in considerazione la necessità di rimuovere le foto pubblicate.

Con stima, Calogero Gaetano Paci, Procuratore della Repubblica Vicario di Reggio Calabria

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Nota del Direttore

Caro Procuratore,

La ringrazio per aver scritto al nostro giornale e La ringrazio per le parole di stima che dedica al mio lavoro e a quello dei colleghi. Non posso che ribadire la stima reciproca che, come Le è noto, nutro nei Suoi confronti.

La questione che Lei pone è delicata e solo una persona della Sua sensibilità poteva cogliere: il ruolo del giornalista si muove sempre sul sottile filo che corre tra informazione (non edulcorata, ma, anzi, dura e cruda) e sensibilità. Noi – credo – abbiamo sempre cercato di non perdere di vista quell'umanità che ci deve necessariamente distinguere dalle persone di cui siamo costretti a scrivere quotidianamente.

Con riferimento al fatto specifico, devo "difendere" il lavoro della collega che, con la consueta velocità e professionalità, ha seguito l'importante fatto di cronaca. Devo altresì sottolineare che ogni tipo di pubblicazione, testuale e visiva, è stata, ovviamente sostenuta da me. Cosa che rivendico ulteriormente. In alcun momento di quella triste serata la collega ha infranto alcun tipo di doveroso divieto da parte degli investigatori: ha, per esempio, sempre mantenuto le distanze regolate dai "tristi" nastri che delimitano la scena del crimine, avvenuto, come è evidente, in strada e quindi in luogo pubblico.

Perché quelle pubblicazioni?

Perché cerchiamo di raccontare una realtà vera, anche quando questa è spiacevole. Pensiamo (e su questo sarebbe interessante un confronto anche pubblico, per il bene della collettività) che mostrare il volto terribile della criminalità possa "aiutare" a smuovere quel senso di giustizia che – ne siamo certi – è forte e presente nei reggini e nei calabresi. Peraltro – e parlo a titolo personale – forse non avrei sviluppato quel senso di ribellione nei confronti dello strapotere mafioso se non avessi visto in foto i corpi senza vita di Boris Giuliano, Piersanti Mattarella e di tanti altri uomini uccisi nella Sicilia che Lei conosce molto meglio di me.

Crediamo sia questo il ruolo del giornalista: raccontare, anche quando la realtà è orrenda. La Sua cultura – che sconfina ampiamente da quella giuridica – le permetterà di conoscere certamente la celebre foto che il grande fotoreporter Robert Capa scatta nel 1936 a Cordova (ironia della sorte) ove ritrae un soldato dell'esercito repubblicano, con addosso una camicia bianca, ripreso nell'attimo in cui appare colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti. Capa potrebbe gridare al miliziano di scansarsi, potrebbe salvargli la vita. Eppure scatta. Quest'immagine è tra le più famose fotografie di guerra mai scattate.

Noi crediamo che quella contro la 'ndrangheta sia una guerra. E saremo sempre al Suo fianco e a quella delle forze sane dello Stato. Non c'era gusto macabro nel lavoro di qualche sera fa, per questo accolgo parzialmente la Sua gentile richiesta: ridurremo il numero di scatti della scena del crimine, ma non le cancelleremo tutte, perchè sosteniamo le nostre prerogative.

Con la stima e l'affetto di sempre

Claudio Cordova