Certi tardi pomeriggi d'inverno

sigarette14novdi Nino Mallamaci* - Certi tardi pomeriggi d'inverno trovavamo rifugio nella stanzetta sopra al bar. Ovviamente, questa opportunità ci era offerta solo se non la trovavamo occupata dai più grandi, i quali con modi spicci ci invitavano a fare marcia indietro. I miei amici giocavano a carte, solitamente a tressette o alla sua variante cosiddetta a perdere. Io mi limitavo ad assistere, totalmente incapace per il tressette, mentre qualche volta mi univo agli altri per il tressette a perdere, molto più semplice da capire e da giocare. Mi andava un po' meglio, ma neanche tanto, con la briscola.

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Alla stanzetta si accedeva da una scaletta ripida e stretta, e la preferivamo perché potevamo tranquillamente fumare senza il rischio che qualche avventore più grande andasse a riferirlo ai genitori. Faceva un freddo cane, con il vento onnipresente che filtrava dalle imposte malandate. Veniva in nostro soccorso qualche bottiglia di birra, rigorosamente peroni o quella che nella versione paesana era la "drecher", dreher solo per i più acculturati. Giocando e bevendo, e fumando le sigarette comprate in comune o scroccate a qualcuno che inopportunamnente se le portava appresso, tra scherzi e lazzi e prese in giro ci capitava di parlare delle ragazze, ai tempi oggetto dei discorsi e dei desideri più che della vita reale.

Sotto, in piazza, quelli che noi percepivamo come vecchi andavano avanti e indietro a chiacchierare, fermandosi ogni due e tre per spiegare meglio un concetto dopo aver afferrato il compagno di passeggiata dal braccio per tenerlo fermo e attirare la sua attenzione. Insieme a loro passeggiavano quelli che vecchi all'anagrafe non lo erano affatto,ma si davano un'aura di serietà, molto apprezzata dagli adulti, abbigliandosi con vestiti interi, cui abbinavano atteggiamenti e gesti che mutuavano pari pari da quelli e che, probabilmente, studiavano allo specchio prima di uscire da casa. Molti di questi ultimi compaesani subivano una metamorfosi vera e propria quando si facevano fidanzati in casa o prima, in preparazione dell'evento, allorché c'era la necessità di appalesarsi come giovanotti seri, con la testa sulle spalle, in grado di avviare e portare a compimento un percorso che conduceva dritti dritti al matrimonio e allo sfornamento, nell'arco di qualche anno, di una prole di tre o quattro marmocchi.

Ogni tanto, per spezzare la monotonia, qualcuno si dedicava a qualche sciarra per motivi che a noi, il più delle volte, sfuggivano.

Per questioni di rispetto, di trascuranze, di rivalità, intuivamo, ma mai per soldi o altre cose terrene, o almeno così sembrava a me.L'ora del rientro a casa scoccava in simultanea col rumore della serranda del negozio di mia zia, che mio zio, suo marito, tirava giù con forza tale da far rimbombare la piazza intera. Sulla Diane spesso non c'era posto per tutti, ma fino a tre o quattro, seduti dietro, mio zio non faceva obiezioni. E così, mentre i seri, i fidanzati in famiglia, andavano a timbrare il cartellino per cena a casa della zita, noi tornavamo ognuno tra le nostre quattro mura, ad aspettare, con impazienza, la mattina successiva, e l'autobus che ci avrebbe portati in città, e qualche volta anche a scuola.

*Avvocato e scrittore