Pd, scissione senza vinti e vincitori

renzi matteodirezionepddi Pino Criserà - Finalmente il dato è tratto, avrà detto Matteo Renzi dopo che la Direzione del Partito democratico di ieri ha sancito l'addio di alcuni suoi esponenti politici. Quest'operazione, che di politico francamente ha ben poco, non lascia sul campo nè vincitori né vinti. Anzi, se un perdente si può individuare, l'indice si può puntare esclusivamente sulla democrazia poiché è stata proprio la democrazia ad essere stata offesa, umiliata e lacerata. Quando in un partito o in gruppo politico si afferma la volontà a rottamare e emarginare esponenti politici di spessore e si dimostra incuranza verso i disastri annunciati da una scissione, vuol dire che la democrazia ha compiuto notevoli passi indietro unitamente alla prevedibile consegna e gestione del paese a quei movimenti che con molta approssimazione e superficialità vengono definite populisti.

Tenere unito il partito, indicare soluzioni ed eventuali vie d'uscita per scongiurare gli effetti disastrosi di uno spaccatura, avrebbe dovuto essere la condotta e la linea politica che un autentico leader avrebbe dovuto affermare. Non so se Renzi non ha saputo o non ha voluto ricercare nessuna mediazione, fatto sta che dopo questa strappo il Partito democratico non potrà più caratterizzarsi come una grande forza popolare, riformista e di sinistra, ma sarà destinato, a mio avviso, a gorgheggiare in un'area politica i cui connotati sono tutti da ricercare.

Renzi, all'assemblea tenuta domenica al Parco dei Principi, aveva la chiara sensazione di avere la maggioranza dalla sua parte e di poterla sfruttare per assecondare le sue ambizioni e così è stato. Pur riconoscendo al Segretario Renzi una notevole vivacità intellettuale, unitamente alle capacità di essere un buon affabulatore, devo però ammettere, con altrettanta onestà, che in una circostanza così difficile e delicata per il futuro del Pd, non ha saputo esercitare le sue funzioni di autentico leader. Gli obiettivi di chi guida e gestisce un grosso partito devono sempre e comunque essere proiettate a rendere il partito sempre più forte, coeso e maggiormente rappresentativo e non certo ad alimentare divisioni. I contrasti e le divergenze, inevitabili all'interno di un partito plurale come il Pd, avrebbero dovuto essere considerati come un salutare e democratico confronto dialettico e non invece motivo per essere sfruttati, sia pure in modo capzioso, per emarginare esponenti del partito che alle loro spalle hanno una lunga storia politica e sindacale fatta di battaglie assieme al movimento operaio e ai tanti studenti e giovani disoccupati per rivendicare migliori condizioni di vita, di lavoro e di una scuola moderna e aperta a tutti.

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Oggi, all'interno del Pd, la rottamazione e l'emarginazione sembrano siano diventati gli aspetti più importanti rispetto alla ricerca e all'affermazione di una strategia e di una linea politica mirata a rendere l'azione del Governo, di cui il Pd è maggiore espressione, sempre più coesa e rispondente ai bisogni e alle esigenze che i cittadini rivendicano. Devo ammettere che l'elezione di Matteo Renzi a segretario del Pd, avendo alle spalle una lunga militanza politica, mi aveva ridato entusiasmo perché avevo creduto fermamente nei suoi propositi politici brillanti e convincenti. Mi sono ricreduto e sono ripiombato in un inevitabile sconforto quando ho preso atto dei suoi numerosi dietrofont rispetto ai propositi iniziali e quando ho notato che le sue "riforme" erano invece dirette a cancellare con il Jobs Act alcune grandi conquiste politiche e sindacali cui ho assiduamente e convintamene partecipato assieme al partito dove militavo e al sindacato dove ero iscritto. La scissione ha sicuramente determinato, tra i militanti del Pd, una sensazione di profondo smarrimento e malessere che è difficile metabolizzare in breve tempo.

Nel corso della mia lunga attività politica ho registrato che ogni qualvolta un segretario di partito nel corso di consultazioni elettorali sia stato penalizzato dal voto degli elettori, ha avvertito l'esigenza di dimettersi e fare posto ad altri. Renzi, nonostante la sonora bocciatura subita al recente referendum costituzionale, ha avvertito, stranamente, l'esigenza di fare l'esatto contrario: continuare a gestire il Pd e pensare di ricandidarsi alla guida del Paese. Non ci si deve meravigliare se poi il Partito democratico perde iscritti e consenso e una moltitudine di cittadini, sempre più crescente, non esita a manifestare la loro rabbia e la loro indignazione verso un modo fumoso e inconcludente della politica di affrontare i problemi reali. La gente è oramai stanca di assistere ai trasformismi della politica e di vedere una democrazia svuotata del suo autentico contenuto e valore rappresentativo.

Quei movimenti che oggi, con molta approssimazione, vengono definite populiste, in realtà altro non sono che una reazione di protesta da parte di tanti cittadini che hanno voglia di dire basta ai sacrifici economici e a una corruzione sempre più dilagante che trova spesso politici avvinghiati e coinvolti. Appartengo alla generazione di chi si è cresciuto e formato culturalmente nel periodo delle ideologie e devo dire che non mi sono accodato felicemente alla schiera di coloro che si sono dimostrati soddisfatti della loro scomparsa. Sappiamo che la caduta del muro di Berlino ha coinciso con la loro caduta, ma l'avere identificato le ideologie con il "muro" è stata, secondo il mio punto di vista, una valutazione impropria.

Un conto è lottare quelle ideologie che possano compromettere e limitare la libertà degli individui, la libera circolazione delle idee e affossare la democrazia, un'altra cosa è la condanna generalizzata e tout court delle ideologie. Desidero chiarire che non rimpiango la scomparsa delle grandi ideologie europee del ventesimo secolo così come si rimpiangono i morti, ma dobbiamo ammettere, che la loro scomparsa ha prodotto, soprattutto nelle giovani generazioni, un impoverimento culturale unitamente alla mancanza di importanti punti di riferimento.

Un vuoto che oggi è stato riempito da movimenti e partiti la cui azione politica è basata principalmente sui programmi e non più sulle ideologie. E' proprio questo impoverimento culturale che ha portato anche la politica italiana a subire un inevitabile declino. Quando all'interno di un partito il confronto politico invece di affrontare i problemi veri e reali del paese punta il dito verso esponenti politici di spessore con l'obiettivo di emarginarli, questo agire è destinato ad alimentare solamente contrasti che difficilmente si potranno risanare. Era proprio questo che il segretario Renzi avrebbe dovuto evitare e consentire invece al confronto e alla dialettica interna di affermarsi come un'importante risorsa e un arricchimento politico. Questo, Renzi, non l'ha voluto e il Partito democratico è oramai condannato a subire, con la scissione, le conseguenze disastrose e inconcludenti di un'azione politica che non è stata certamente lungimirante.

All'orizzonte del Governo tra i tanti problemi c'è l'approvazione della manovra finanziaria con una Europa, per giunta, sempre attenta e vigile a controllare il bilancio del nostro paese. Una manovra finanziaria richiede e necessita sempre un ampio confronto e consenso politico e non può basarsi e limitarsi su numeri risicati. Quanto consenso politico il Governo Gentiloni riuscirà ad ottenere in parlamento sulla manovra finanziaria e su altri questione importanti e spinosi come il lavoro, la scuola e la legge elettorale dopo la spaccatura? Si tratta di scenari ampiamente prevedibili anche prima della scissione e tutto questo mi porta a immaginare che il futuro politico ed economico dell'Italia non sarà sicuramente felice. A Renzi, adesso, spetta il difficile compito di individuare l'area politica dove collocare il Pd e, al tempo stesso, affermare una linea politica in grado di raccogliere e conquistare consenso elettorale considerato che oltre alla manovra finanziaria, in primavera, in molte città italiane, ci saranno le elezioni amministrative che saranno sicuramente un importante banco di prova per il segretario in pectore del Partito democratico. Hic Rhodus hic salta.