Il Bingo di Reggio Calabria bancomat per la liquidità della 'ndrangheta

operazionemonopoliframedi Claudio Cordova - Nelle intercettazioni li chiamano spesso "ospiti". Ma, a volte, i dipendenti della sala Bingo di Reggio Calabria – l'unico Bingo di Reggio Calabria – usano termini ben più eloquenti come "tsunami" oppure chiedono "è andato via il lupo?". Quel Bingo, infatti, sarebbe stato il bancomat di Giuseppe e Michele Surace, uomini della cosca Tegano. All'interno della struttura avrebbero chiesto, famelicamente, soldi per le proprie necessità. Non si tratta – specificano gli inquirenti – di estorsioni e tangenti, ma della prova più lampante del fatto che quella struttura fosse nella totale disponibilità dei Surace e quindi dei Tegano.

I Carabinieri che hanno fermato quattro imprenditori (tra cui proprio i Surace) nell'ambito dell'inchiesta "Monopoli" documentano con numerosi video i viaggi e le visite presso la struttura di Archi. E ciò che i militari dell'Arma scoprono conferma integralmente il contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra cui Enrico De Rosa, un tempo immobiliarista delle cosche oggi preziosa fonte conoscitiva della Dda di Reggio Calabria. Nel marzo 2017 spiega come la testa di legno all'interno del "Bingo" fosse Bruno Mandica, cognato di Michele Surace. Il collaboratore spiega che la fittizia intestazione era funzionale a scongiurare il sequestro di un'attività quanto mai preziosa, perché produttiva di ingenti liquidità indispensabili per rimpinguare le casse di Surace e dei soci occulti della famiglia Tegano.

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Quel Bingo, infatti, avrebbe fatturato circa 12 milioni di euro. Un bel gruzzolo per la cosca Tegano.

All'interno dell'ufficio del prestanome Mandica sono stati documentati i molteplici episodi in cui Michele Surace (unitamente al figlio Giuseppe) ed Andrea Giordano si sono recati presso la sala Bingo di Archi, fuori dall'orario di apertura al pubblico ed anche in assenza del formale titolare Bruno Mandica, talvolta facendo accesso dalle porte secondarie, riservate al personale addetto. Sono stati altresì monitorati svariati casi in cui gli indagati, giunti presso la Sala Bingo, hanno prelevato imprecisate somme di denaro, a dimostrazione del loro ruolo di effettivi (sia pure occulti) titolari dell'attività imprenditoriale.

Le videoriprese, unitamente alle intercettazioni telefoniche ed ambientali, attestano - innanzitutto - come Michele e Giuseppe Surace si siano frequentemente recati presso la sala Bingo di Archi, al fine di prelevare somme di denaro in contanti, evidentemente sottratte agli utili della struttura commerciale che occultamente governano. La sala Bingo è stata utilizzata dai Surace come una sorta di bancomat, cui fare ricorso per ogni esigenza di liquidità. Almeno una quindicina gli episodi censiti dalle immagini captate dai Carabinieri. Prova questa, inconfutabile, della facoltà riservata a Michele Surace di disporre a suo piacimento dell'impresa, nonostante l'apparente cessione in favore del cognato. Il tutto, come si vedrà, senza che Mandica, pur assai critico rispetto alla voracità del Surace ("...è andato via il lupo?"), potesse opporre resistenza di fronte alle sue frequenti incursioni; incursioni dirette a fare incetta di denaro e che - pur creando evidenti ed intuibili difficoltà alla regolarità contabile dell'impresa - dovevano essere tollerate, in ragione del ruolo gerarchicamente sovraordinato riconosciuto al proprietario occulto.

Per la Dda di Reggio Calabria nessun dubbio può sorgere circa il comportamento complessivamente tenuto da Michele Surace, abituato ad atteggiarsi da padrone assoluto all'interno della Sala Bingo ed in tale veste "percepito" anche dai dipendenti della struttura. L'indagato veniva infatti effigiato dal sistema di videosorveglianza mentre alternava momenti di svago di fronte alle "videolottery", a frenetiche riscossioni di denaro; potendo lo stesso attingere dalla casse societarie senza che alcuno riuscisse ad arginare il continuo stillicidio di contanti. La ricezione di somme di denaro in contanti non era una prerogativa esclusiva di Michele Surace, atteso che anche il figlio ed odierno coindagato Giuseppe era destinatario del medesimo trattamento, sfruttando l'impresa intestata al Mandica per effettuare continui prelievi di contanti.

È infatti evidente che anche il rampollo della famiglia Surace aveva titolo, in ragione del vincolo familiare che lo legava al vero leader dell'azienda, per imporre al Mandica, a lui subordinato, l'erogazione delle somme di cui di volta in volta abbisognava. Giuseppe Surace, nella piena consapevolezza delle ragioni sottostanti alla fittizia intestazione, forniva al genitore un concreto e stabile supporto morale e materiale nella gestione occulta della società "Michele Surace e Bingo S.R.L. Unipersonale", accompagnandolo nelle incursioni all'interno dell'azienda e facendosi latore, presso Mandica, delle richieste di liquidità che legittimava spendendo il nome paterno