13 giugno 1999: quando la Reggina cambiò dimensione alla città

torinoregginapromozionedi Paolo Ficara - Sei parole, cantate a squarciagola per diverse ore consecutive: "Ce ne andiamo in Serie A". Esistono giorni dei quali ci ricorderemo a vita come e con chi li abbiamo trascorsi. Non potrete mai dimenticare se quel 13 giugno del 1999 eravate a Torino, o in giro per le strade di Reggio a fare chiasso, o chissà in quale altro angolo del mondo a sfoderare con orgoglio un drappo amaranto. Altrimenti, significa che non siete tifosi della Reggina. In tal caso, non sapete cosa vi siete persi.

Vi siete persi la più spontanea delle feste mai vissute, in una città che fino a quel giorno si sentiva minuscola ed ignorata dal resto della nazione. Oppure nota solo per vicende tristi. Abbiamo festeggiato un traguardo sportivo agognato da varie generazioni di tifosi, senza renderci conto che lo stesso stava rappresentando l'apoteosi di un riscatto sociale.

Da quel 13 giugno del 1999, la Reggina ha "costretto" Reggio Calabria ad indossare l'abito buono.

Per capire come ci sentivamo, alle prese con i colossi del calcio visti alla tv ed immaginati al nostro cospetto come una parodia in stile Longobarda, basti ricordare uno dei tanti commenti dell'epoca: molti si sarebbero accontentati di vincere una sola partita in Serie A. Determinati eventi, li vivemmo come un qualcosa di irripetibile. Per un'ospitata di Moggi, Del Piero ed Inzaghi al Miramare, venne bloccato il Corso Vittorio Emanuele III.

Reggio ha dovuto tenere il passo del proprio vessillo calcistico, dal quale ha appreso una nuova realtà. La Reggina ha consentito alla città di non sentirsi più il fanalino di coda dell'Italia intera, al di là di ogni classifica sulla qualità della vita o sul salario medio. E ci è riuscita proprio andando ben oltre quell'unica vittoria. Con i nove campionati in massima serie, Reggio ha capito di avere delle potenzialità. Rimaste inespresse fino al 1999. La Reggina ha trascinato la città verso una nuova dimensione. La Serie A della Reggina è sul podio delle cose più preziose, assieme ai Bronzi di Riace ed al Lungomare Falcomatà.

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La promozione in Serie A ha decuplicato il bacino d'utenza, senza però offuscare i ricordi a chi la Reggina l'ha seguita anche in C2. Anzi. Da quel giorno, è aumentato e si è espanso il mito dei vari Gatto, Bercarich, Bumbaca, Camozzi, Santonico, Iacoboni, Pianca e tutti coloro che hanno rappresentato degli idoli, per chi, i gradoni del Comunale, li ha sempre occupati.

A chi ha cambiato la vita quella promozione? Magari Lillo Foti, Gabriele Martino e Franco Iacopino, per citare il vertice della dirigenza, ci sarebbero riusciti l'anno successivo, chissà. Il campionato '98-'99 è invece indiscutibilmente arrivato al momento giusto per tanti calciatori. Pensiamo a Maurizio Poli, che ha avuto la possibilità di esordire in massima serie a 35 anni. O a Davide Possanzini, tolto dall'anonimato della Serie C e messo come simbolo sull'abbonamento.

Se possiamo legittimamente ipotizzare un eventuale nuovo tentativo da parte del presidente Foti, qualora quel 13 giugno di 20 anni fa qualcosa fosse andato storto, la portata di quella titanica impresa è suggellata dal prosieguo. L'acume ampiamente dimostrato negli anni a venire, con una serie di relazioni che hanno consentito alla Reggina di essere ben voluta e rispettata nel panorama calcistico e non solo, rappresenta la conferma dello spessore di una guida ineguagliabile ma speriamo non irripetibile, nella storia della nostra città.

La Reggina non si è ritrovata in Serie A dalla sera alla mattina. Prima di quei gol firmati da Ciccio Cozza e Tonino Martino, ci sono tante reti gonfiate e tanti bocconi amari ingoiati. Se oggi la Reggina ha una proprietà che parla di Serie A nonostante si stazioni due categorie sotto, è grazie a chi ha saputo dimostrare che la Serie A non ci sta larga. Né alla Reggina, né alla città. La strada giusta non la conosce nessuno, la consapevolezza di poterla individuare ce l'abbiamo in tanti. Ohne hast aber ohne rast, per citare Goethe: senza fretta ma senza sosta.