Il reggino Minniti si candida ufficialmente a guidare il Pd: “Porterò il rinnovamento: sceglierò il merito, non la fedeltà. Ma la politica dev’essere anche umanità”

minnitimezzorainpiudi Mario Meliadò - Corroborato dalla paginata di Repubblica che quest'oggi annunciava come la «riserva» fosse stata «sciolta» e che, insomma, lui sì, alla fine correrà per la segreteria nazionale del suo partito, il Pd, il reggino Marco Minniti nel pomeriggio ha preso parte a Mezz'ora in più, il seguitissimo programma di RaiTre condotto dall'ex presidente della tv di Stato Lucia Annunziata.

Una partecipazione fondamentale, intanto perché nei fatti "prima uscita" di Minniti da candidato ufficiale alla leadership dèm (ovviamente in pista c'è già formalmente da molto più tempo Nicola Zingaretti e probabilmente presto si formerà quantomeno un trio con la "discesa in campo" dell'ormai ex-reggente, il già ministro alle Politiche agricole Maurizio Martina), e poi in un programma tv assolutamente topico per mettersi in contatto con l'elettorato di Sinistra-centrosinistra più "impegnato" e attento a informarsi.

Molte le cose dette, com'è normale che sia, ma tra queste ce ne sono alcune che meritano senz'altro d'essere riprese. Per esempio la volontà di Marco Minniti (evidentemente non del tutto memore che già la Calabria dei mille carrozzoni ai tempi di Agazio Loiero, cioè quando lui del Partito democratico era segretario regionale, doveva essere «rivoltata come un calzino») di portare il «rinnovamento» all'interno di un partito che nelle stesse ore perfino il più partitodemocraticista che il Pd abbia mai conosciuto, cioè l'ex segretario nazionale e già premier Matteo Renzi, appare ben pronto a picconare selvaggiamente per far posto a qualcosa che vada «oltre» il "mero" Partito democratico.

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Il ragionamento avvolto dalla Annunziata parte dall'obiezione sulla circostanza che l'evoluzione di un partito possa avere il suo fulcro nel cambio della relativa denominazione. «Io penso che noi dobbiamo ricostruire e, contemporaneamente, rinnovare il partito. In questi mesi s'è avviata una discussione sull'opportunità di cambiare il nome al partito... ora, io sono uno dei "massimi esperti viventi" di cambiamenti di nomi ai partiti», sfoggia autoironia l'ex titolare del Viminale: il riferimento naturalmente è al Pci, diventato Pds, poi Ds, poi Pd.
E tuttavia, per il politico reggino «se oggi io dovessi dare un suggerimento, il problema non è cambiare nome al partito: se io immagino un campo più ampio, non posso che immaginare che sia un campo "democratico"... Il problema vero è cambiare radicalmente il partito, rivoltarlo come un calzino (...aridànghete!), cosa più complicata che cambiare nome». A seguire, aneddoto incorporato a testimonianza che spesso un leader tenta d'identificare il successore in persone meno dotate, e allora si profila la «continuità»; ma talvolta pur volendo fare questo sbaglia, «trova uno più intelligente di lui e questo si chiama rinnovamento... Ecco – di qui il pretesto verbale per esporre il Pd-secondo-Minniti –, io voglio fare questo rinnovamento: io voglio mettere in campo i più capaci indipendentemente dalla collocazione correntizia. Il punto fondamentale è scegliere il merito, e non la fedeltà. Fare questo oggi in un partito, in qualsiasi partito, incluso il Partito democratico, è una piccola "rivoluzione copernicana"».

E il ventilato ricongiungimento con l'ex-mentore Massimo D'Alema e gli altri tre famosissimi "Lothar" (non ultimo Claudio Velardi)? Si dice, rammenta la Annunziata, che i quattro si siano rivisti per mangiare insieme... «Se mi avesse detto che c'eravamo rivisti a cena, le avrei detto che era molto improbabile, perché io non ceno fuori quasi mai; se m'avesse detto che era per pranzo, le avrei detto però che era impossibile, perché io non pranzo mai... - gigioneggia Marco Minniti con la conduttrice –. Con D'Alema c'è una larghissima distanza politica. E tuttavia mi consenta di dire una cosa importantissima: se al netto di questa distanza politica, rimangono rapporti umani, io lo considero un elemento di valore, non un elemento di disvalore... Io penso che la politica debba essere anche, e profondamente, umanità. Ci possono essere posizioni politiche radicalmente differenti, come tra me e D'Alema; se non viene meno il rispetto umano io lo considero un elemento positivo. E ne sono contento». E ricorda come del tutto analoga sia stata la cosa con Achille Occhetto, dal quale Minniti è separato da una «profondissima» distanza politica, per presentare il libro dello storico leader della Bolognina sulla storia della Sinistra italiana: «Achille, se mi dici questo, tu mi emozioni», fu la risposta dell'ex ministro.

Non è mancato neppure un riferimento diretto alla questione legalitaria e al contrasto ai clan: «Nei miei 16 mesi da ministro dell'Interno, ho sciolto per mafia numerosissimi Comuni. L'ho fatto con rigore, naturalmente, ma sapendo una cosa: se si vuol colpire le mafie, occorre spezzare il legame tra le mafie e la politica. E poi c'è la moralità, la legalità come Valore assoluto... Io voglio fare della legalità il principale elemento dell'operato mio e di questo partito. Io da cittadino meridionale conosco il Sud perfettamente, e mi permetto di dire che per il Sud il ragionamento va rovesciato... Finora s'è detto che il Mezzogiorno, senza l'Italia, non ce la faceva: io dico che l'Italia, senza il Mezzogiorno, non ce la può fare a essere una Nazione competitiva nel mondo. E anche il Pd, senza un consenso largo a Sud, non può essere realmente un grande partito nazionale».